L’Orfeo di Roberto Azzurro
Il mito che affonda nel reale

 

“Piombare giù: é questo che fanno i poeti”. Ed è quello che fa Roberto Azzurro, in un “Orfeo” presentato al Teatro Elicantropo di Napoli davanti a un pubblico attento e con-sonante. Alla seconda collaborazione artistica con il giovane autore stabiese Cristian Izzo, dopo l’apprezzatissimo “Scarrafunera”, Azzurro scompone e ricompone ancora una volta la sua idea di teatro e di messa in scena, negli anni sempre più scarnificata ed essenziale, ma densa come non mai. Il Mito (in questo caso di Orfeo) flirta col suicidio, attraversando come il leopardiano pastore errante i deserti dell’animo umano. Preceduto dal consueto colpo di campanella (che nel buio totale acquista echi di sinistro allarme), Roberto Azzurro fonde con sobria ma potente energia le precisissime parole di Izzo – sul cui inquieto talento scommettiamo, vincendo, da anni – con lacerti di brani pescati da Rilke, Savinio e Pavese, insieme all’inevitabile bagaglio personale, specie recente, dell’attore e regista partenopeo. L’ironia, stavolta, é dispensata con insolita parsimonia, perché i temi sono alti, e altri, e dunque tocchiamo pure le corde del dolore, senza paura (perché é di paura che si muore). Non sarà questa, ovviamente, la versione definitiva del mondo artistico di Roberto Azzurro, atteso da tante e nuovissime sfide, pronte a tradire (che non è rinnegare) il sé visibile. Eppure, qui, in questo spettacolo di sublime assenza di centro di gravità, siamo molto vicini all’Autodafé, mascherata – meravigliosamente s’intende – dal suo esatto opposto. Così è, se – ci – pare.

Antonio Mocciola

Share the Post:

Leggi anche