“Le nostre figlie si amano”, amore, violenza e brividi morbosi
due sorelle e una sola grande attrice: Serena Borelli

Due sorelle che più diverse non potrebbero essere, Pia e Giordana, si incontrano in un modesto appartamento dopo anni di distanza, quasi come un appuntamento col destino, e coi conti in sospeso. Con questo spunto prende l’avvio “Le nostre figlie si amano”, che chiude la stagione del Centro Culturale Artemia chiudendo un’ideale “trilogia della violenza” del connubio tra Giorgia Filanti e Antonio Mocciola.

Il primo elemento che accomuna quest’ultima opera con le precedenti “Io non sono granturco” e “L’ombra accanto” è la presenza di Serena Borelli, qui da sola in scena ad impersonare entrambe le sorelle.

Il secondo è il pastiche musicale prosa-musica-movimento che caratterizza l’identità della regista.

Il terzo è la morbosità, il corpo violato, i desideri inconfessabili e pericolosi che sono invece il tratto distintivo dell’autore.

Ed ecco che, ancora una volta, la magia si riaccende. Serena Borelli caratterizza i due personaggi con mimica e voce, e col solo aiuto di un cappello. Ma non si dimentica la camminata obliqua con le caviglie in pericolo, deriva alcolica della sorella “sbagliata”, e neppure la feroce, ferma, asettica risata sarcastica della sorella “vincente”, che accoglie e moralizza, corregge e impera, e infine abusa. Serena Borelli si conferma, senza se e senza ma, una delle più brave attrici italiane.

L’eccellente scelta musicale, che la Filanti organizza con sapiente dosaggio drammaturgico, circonda, racconta, lega e slega le atmosfere create da Mocciola, che disegna sinistri interni familiari travestendoli da banali e quasi ottusi piccoli gesti quotidiani (ma quanto dolore c’è, in un semplice sorso di cattiva acquavite).

Piovono applausi, pieni, convinti, veri, da parte della sala gremitissima in ogni ordine di posti. Giusto citare l’ottimo lavoro di Diego Pirillo, Elisa Zedda e Margherita Dongu, che hanno supportato il notevole lavoro della Filanti.

Si replica sabato alle 21 e domenica 18. Sarebbe un peccato perdersi questo smagliante esempio di eccellente teatro contemporaneo, severo e rigoroso, ma allo stesso tempo umanissimo. Che gronda verità, come la canicola che opprime la protagonista, spingendola al delirio di atti supremi.

E i brividi, da caldi, di colpo diventano di ghiaccio.

Mauro Arnaboldi

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