La soave leggerezza
de “Lo spirito allegro”

Metti un testo “evergreen” come “Blithe Spirit” di Noel Coward, un regista di mestiere come Fabio Grossi, un mattatore esperto come Leo Gullotta ed è facile aspettarti un prodotto di gusto ed elegante. Così é “Spirito allegro” in scena al Teatro Diana di Napoli fino al 6 dicembre. Uno scrittore, vedovo e risposato, appassionato di spiritismo, evoca per sbaglio, tramite una medium, il fantasma della prima moglie, che da quel momento si diverte a perseguitare l’attuale consorte, destinata presto a raggiungerla. La straordinaria leggerezza del testo è giustamente lasciata intatta, anche nella (un po’ antiquata, forse) traduzione di Masolino D’Amico. Quello che invece stupisce sono le splendide immagini in movimento sulle belle scene di Ezio Antonelli: è il video-mapping, qui per la prima volta utilizzato, con discrezione fino al pirotecnico finale, in uno spettacolo di prosa. Il ritmo c’è, la bravura degli interpeti pure, da Betti Pedrazzi (una macchina perfetta) a Valentina Gristina, da Rita Abela a Federica Bern e Sergio Mascherpa. Tutti splendidamente vestiti da Valentina Fucci. Prodotto da Diana Or.i.s., “Spirito allegro” è un testo di soave inattualità, e in questo risiede il suo candido splendore. Settantacinque anni fa, alla sua prima rappresentazione, provocò asperrime critiche per il modo disinvolto in cui si parlava di morte, nei cupissimi anni della seconda guerra mondiale, e nell’austera Inghilterra dell’epoca. Ma l’onda popolare lo tracinò con sé verso un successo travolgente, che perdura anche oggi, in questi tempi cinici e smaliziati. Gullotta non strafà, accompagnando con garbo la sua collaudata compagnia, capitano discreto e misurato. Applausi e conferme: si ha bisogno, più che mai, di questo teatro di classe soffusa.
Antonio Mocciola

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