La Parola canta, “Cóse sta léngua sperduta / conta sta léngua sturduta”

“La parola canta”: un racconto scevro di retorica, una Napoli al di là dei luoghi comuni, una Napoli dolorosa ma allo stesso tempo vitale ed energica, una musica soave e coinvolgente, soprattutto una parola scarna e immediata.

I fratelli Servillo dopo aver condiviso la scena in Sconcerto, e dopo essersi calati nei ruoli dei fratelli Saporito ne Le voci di dentro di Eduardo; ritornano insieme sul palco proponendo questa volta loro stessi, le loro passioni, la loro Napoli.

Quattro sedie, due sgabelli, due leggii, la scena perfettamente divisa in due parti e Toni e Peppe – vicendevolmente l’uno spettatore dell’altro – si alternano recitando e cantando testi e canzoni della cultura partenopea. Il repertorio di Toni spazia da Mimmo Borrelli a Eduardo De Filippo, da Enzo Moscato a Raffaele Viviani fino a Michele Sovente. Toni Servillo riempie la scena con la sua voce di volta in volta sibillina, suadente, volgare, roca, nitida. Non a caso recita anche al buio o con luci soffuse, e proprio attraverso queste luci accennate, il fondale bianco sul quale proietta la sua figura, Servillo recita anche col corpo, con le mani creando immagini sfuggenti ma indelebili.

Peppe occupa il lato destro del palcoscenico cantando Canzone appassuniata ( E. A. Mario), Dove sta Zazà  (Cutolo – Cioffi), Maruzzella (Bonagura – Carosone), Sogno Biondo (Servillo – Tronco), Te voglio bene assaje (autore ignoto). Peppe Servillo fa sua ogni canzone, interpretandole quasi recitandole col suo volto-maschera, che trasmette di volta in volta dolore, gioia, nostalgia, passione.

Gli impeccabili fratelli Servillo sono affiancati, sostenuti, coadiuvati dai Solis String Quartet: Vincenzo Di Donna (violino), Luigi De Maio (violino), Gerardo Morrone (viola) e Antonio Di Francia (cello); elegante quartetto di archi che accompagna Peppe nelle sue canzoni, fa da sottofondo a Toni, e rapisce il pubblico con Allegretto Pizzicato (Quartetto n.4 di Bela Bartok) e Minuano di Pat Metheny.

I Solis in realtà fanno anche da collante alle due interpretazioni, tra le quali non c’è un reale fil rouge tematico, inoltre come già sottolineato la scena è simbolicamente divisa in due, i fratelli assistono allo spettacolo seduti su uno sgabello in fondo al palco; rare le incursioni nell’altrui repertorio. Volutamente ognuno dà la sua lettura, interpretazione e visione di Napoli. Nonostante questa netta divisione vi è fusione, una palpabile armonia derivante dalla musica e dalla parola, una parola sì “smarrita” ma emozionante, perché ci appartiene.

Mariarosaria Mazzone

 

 

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