L’assonanza fra Kings – il gioco del potere, visto nei giorni scorsi allo Spazio Tertulliano di Milano, e lo strehleriano Gioco dei potenti di circa cinquant’anni fa è evidente. In ambedue i casi la drammaturgia si basa sulle tragedie di Shakespeare, e ricorre, nel titolo, il termine “gioco” che, in moltissime lingue (francese, inglese, tedesco, russo, e chissà quante altre), a differenza che in italiano, ha un significato di “recita”, “rappresentazione teatrale”. Tuttavia i due lavori traggono origine da due distinti gruppi di tragedie e, di conseguenza sono contigui, ma diversi, anche i periodi della storia inglese cui si riferiscono: per lo spettacolo di Strehler, siamo ai tempi di Enrico VI e Riccardo III; Kings si situa invece nella generazione precedente, quella che vede sul trono Riccardo II, Enrico IV, Enrico V.
Per motivi anagrafici, nessuno, né l’autore della drammaturgia, né il regista, né gli attori, possono aver visto quello spettacolo, del quale non esiste una documentazione in video. Semmai, il continuo riprodursi, nella storia, dei medesimi scenari, la medesima corruzione, i medesimi tradimenti, rivela la desolante continuità delle dinamiche del potere, non solo dai Plantageneti ai Lancaster, ma fino ai giorni nostri.
Michelangelo Zeno ha costruito con abilità una drammaturgia compatta, che sfoltisce senza visibili cicatrici il numero dei personaggi, anche accorpandoli, ma lasciando intatto il fascino e la densità della parola shakespeariana. Il risultato è una fabula avvincente, che concentra in un’ora e mezza il materiale di quattro tragedie. Fascinoso l’assetto scenografico: una struttura di tubi Innocenti che riecheggia lo schema costruttivo del teatro elisabettiano: un palcoscenico a più livelli, con scale e botole, che malgrado le dimensioni limitate sa suggerire piazze, logge, segrete. In tale spazio polimorfo l’avveduta regia di Alberto Oliva organizza i sette attori, alcuni impegnati in più di un personaggio, riuscendo a restituire quell’alternarsi, anche repentino, mai stridente, di tragico e di comico, che è forse una delle più intriganti caratteristiche del Bardo. Fino a uno spiritoso, inatteso finale che, sulle note di Paint it Black dei Rolling Stones, ci ricorda ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, che Shakespeare è nostro contemporaneo.
Giuseppe Scordio, direttore artistico dello Spazio Tertulliano e nuovamente sulla scena dopo tre anni (a lui si deve anche il bel progetto scenografico sopra ricordato), trasmette al suo Enrico IV la dolente, complessa, tormentata psicologia del personaggio. Piero Lenardon è un Falstaff nato, che sembra recitare a soggetto, sortendo risultati godibilissimi, da guitto di razza. Fra i più giovani, meritano una segnalazione almeno Enrico Ballardini e Angelo Donato Colombo: l’uno impegnato nel doppio ruolo di Riccardo II e Hotspur; l’altro in quello di Bagot e di Enrico V.
Ma, al di là del risultato artistico, indubbiamente di buon livello, lo spettacolo è da segnalare quale lodevole esempio dello sforzo produttivo di una piccola struttura (lo Spazio Tertulliano ha una platea di 90 posti), che progetta e realizza un’operazione di notevole impegno (una dozzina gli artisti, fra attori e collaboratori, parecchi dei quali giovani), sopperendo con l’intelligenza e la creatività alla scarsità delle risorse. Anche per le piccole realtà, e anche in tempi di carestia, è possibile perseguire una politica culturale di alto profilo.
Claudio Facchinelli
Kings – Il gioco del potere
da Riccardo II, Enrico IV ed Enrico V di William Shakespeare
drammaturgia di Michelangelo Zeno
con Giuseppe Scordio, Piero Lenardon, Angelo Donato Colombo, Enrico Ballardini, Federica D’Angelo, Martino Palmisano, Paolo Grassi
regia di Alberto Oliva
scene di Giuseppe Scordio e Saverio Assumma
costumi Sartoria Streghe & Fate
disegno luci Alessandro Tinelli
aiuto regia Gianfilippo Falsina
assistenti alla regia Francesca Muscatello, Marta Pasetti
produzione Spazio Tertulliano
Spazio Tertulliano
dal 5 al 22 novembre 2014
Prima nazionale