Aveva fondato la compagnia teatrale sovversiva Living Theatre nel 1947 con il marito Julian Beck, morto 30 anni fa.
Minuta e magrolina, ma con una grinta da leone. È questa l’immagine che rimane impressa nella mente dopo aver conosciuto Judith Malina, una donna mingherlina nelle cui vene scorreva un sangue infuocato. Solo l’immensa energia e la voglia di combattere sempre in onore della giustizia e dell’amore poteva rendere questa regista e attrice tedesca, naturalizzata statunitense, tanto determinata da dare vita nel 1947, insieme al marito Julian Beck, al movimento teatrale The Living Theatre che riuscì a scandalizzare e scuotere molte menti. La morte di Judith (88 anni), avvenuta lo scorso venerdì 10 aprile 2015, lascia un grande vuoto, con lei se ne va il secondo pilastro del Living, con lei sembra anche nostalgicamente scomparire quella brama di resistenza, di lotta, di lealtà; valori che oggi lasciano il posto a desideri più bassi e meschini. Un’amarezza profonda nell’apprendere la sua dipartita, avvenuta nella casa di riposo Lillian Booth Home, gestita dall’Actors’ Found (New Jersey), dove Malina viveva da cinque anni perché non aveva i mezzi per mantenersi. Nonostante il grande impegno sociale, politico e culturale del Living, infatti, mai nessuna sovvenzione è giunta a Judith e al suo gruppo dal governo americano.
Nato come una “comune”, il Living Theatre proponeva un’idea di teatro anticonvenzionale e sovversivo in cui venisse messa in pratica la rivoluzione non violenta e l’assoluta libertà (divenendo così anche simbolo dell’amore libero e dell’uso delle droghe nel ’68). Per comunicare i suoi ideali, il gruppo scelse da subito di uscire dai teatri e rappresentare i suoi spettacoli, crudi e incisivi, per strada, negli ospedali e nelle carceri, affrontando diverse tematiche attualissime: le droghe in “The Connection” (1959), la violenza dell’esercito in “The Brig” (1965), il valore della legge in “Antigone” (1967); ma la forza dello scandalo e dell’impatto di questa compagnia raggiunse il suo apice con la messinscena di “Paradise Now” nel luglio del 1968, a cui seguì immediatamente la censura e il divieto. In quell’occasione, infatti, il pubblico era invitato a partecipare attivamente allo spettacolo, sperimentando tutte le forme di interazione possibili. Era il loro manifesto non violento, il loro messaggio d’amore e di pace. Pur prediligendo il teatro politico e sociale, Judith viene ricordata anche per le sue apparizioni cinematografiche, in particolare in “Risvegli”(1990) di Penny Marshall e, soprattutto, in “La famiglia Addams”(1991) di Barry Sonnenfeld (nel ruolo della nonna sgangherata).
Dopo la morte di Julian Beck, Judith continuò a mantenere le redini del Living, girando per il mondo insieme al suo ampio gruppo di collaboratori, provenienti da ogni nazione e cultura; professava un vero e proprio credo, artistico e sociale; invitava a essere tutti uguali, a sostenersi l’un l’altro e a intervenire sempre di fronte ad atti di sopruso e prevaricazione. L’azione scenica assumeva un valore tutto nuovo, diventava mezzo per esprimere se stessi, le proprie opinioni, i propri ideali. Il teatro era una rara manifattura collettiva, una creazione in cui ognuno metteva un pezzo del proprio Io e, magicamente, in quella comunione di intenti, esso si incastrava perfettamente con tutti gli altri. Questo era il Living Theatre di Judith. E questo – si spera – continuerà a essere il Living di coloro che l’hanno accompagnata in questo immenso progetto e che hanno il dovere di non far spegnere quel fuoco che lo animava. Perché se negli ultimi anni poteva sembrare anacronistico, oggi più che mai c’è bisogno di un “Living Theatre” che scuota le menti assopite.
Senza gerarchie, senza distinzioni. Teatro viscerale, emotivo, privato e pubblico allo stesso tempo. Teatro urlato, poi sussurrato. Violenza, dolore, pianto e consolazione. Un atto estremo come l’agonia della peste, recitata da Antonin Artaud e riproposta da Judith ai giovani durante i laboratori che li avvicinavano per la prima volta al lavoro del Living: perché il teatro è esperienza e superamento del limite estremo. Ma lavorare con lei significava anche impegno, rigore, allenamento fisico, e in questo le veniva in soccorso l’educazione teatrale biomeccanica di Mejerchol’d, che lei anche professava degnamente. Con Judith e il Living Theatre si entrava a contatto con un teatro vivo, fatto di attualità, di sentimenti, ma anche di tecnica e storia teatrale, di disciplina e di libertà. Un viaggio completo. Un viaggio che Judith e Julian – ci piace pensare – porteranno avanti all’infinito, di nuovo insieme, ovunque siano le loro anime.
Mariagiovanna Grifi