Alla ricerca della Bestia: il Lear di Bond con Danilo Nigrelli.

“Dov’è la bestia?”. Questo si domanda Lear, interpretato da un eccezionale Danilo Nigrelli, detronizzato e ormai rintronato, davanti al cadavere sventrato di una delle ferocissime figlie ingrate e senza scrupoli.
E, in un certo qual senso, il
Lear di Edward Bond, in quest’articolata messinscena di Lisa Ferlazzo Natoli, potrebbe essere letto proprio come il dramma dell’uomo che reitera la propria natura di belva ogni qual volta l’occasione gliene dà agio.
In una scena fredda ed essenziale, organizzata intorno ad elementi metallici e pali innocenti, a metà strada tra il paesaggio apocalittico e la selva metropolitana, si muove un’umanità disumanizzata, totalmente asservita al delirio di violenza del potere.
Gli attori, tutti interpreti eccellenti di figure sostanzialmente piatte, tranne Lear, perché tutte rifrazioni del male nelle sue differenti declinazioni, reggono con grande energia uno spettacolo complesso sia dal punto di vista fisico che recitativo.

La difficoltà più evidente, relativamente all’interpretazione, proviene senza dubbio dalla chiara letterarietà del testo di Bond. Ed è proprio questo il punto di forza e di debolezza al tempo stesso della messinscena.
Infatti, non basta il lavoro superlativo della regista e la bravura di un cast formidabile, per liberare la messinscena dall’impostazione ideologica e “a tesi” del testo, impostazione che, a tratti, trasforma il dramma in un manifesto. Un manifesto ideologico che sanguina ma che, proprio in quanto ideologico, è intrinsecamente privo di sangue. Privo di sentimenti vivi, credibili. E non scuote mai il cuore, ma solo la mente.
L’emozione, continuamente raccontata nell’intera messinscena, non ha una vita propria. Non tocca mai lo spettatore. È solo un elemento della narrazione.
Non sappiamo se un’operazione di pur necessario, e consigliabile, ridimensionamento del testo avrebbe potuto garantire una maggiore vivacità emotiva alla realizzazione scenica. Quel che è certo è che il testo di Bond, restituito al pubblico nella sua forma integrale, paralizza o, quantomeno, ostacola la completa realizzazione artistica della messinscena. E così, al termine della tragedia, si applaude con sincero entusiasmo la forma e l’intelligenza di chi ha diretto ed interpretato il dramma, si discute con grande interesse del “messaggio” e della lezione dell’opera, ma non ci si emoziona, ohimè, neppure per un secondo.

 

Claudio Finelli

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