La versione italiana di “Der Park“, tragicommedia che Botho Strauss scrisse per il geniale Peter Stein e liberamente ispirata a Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, è stata fortemente voluta e riproposta dal regista tedesco in chiave contemporanea. L’intenzione era di offrire una visione immaginifica e allegorica della modernità, trasportando la commedia di Shakespeare in un parco fin troppo“umanizzato” di Berlino dove le due divinità Oberon e Titania si mischiano nel mondo umano e a tratti pasoliniano offeso dal progresso, dal depauperamento artistico e culturale.
In quella notte di San Giovanni le due divinità, celate in un simbolico cespuglio voyeuristicamente pensato come immersione negli istinti umani, trascinate dai rumori metropolitani, sono invischiate nelle vicende di vari personaggi tra cui due giovani coppie di sposi, versione borghese del Sogno shakespeariano di Ermia e Lisandro ed Elena e Demetrio. Il mago Cyprian, un moderno Puck di Sogno di una notte di mezza estate, con un suo intervento mischia i sentimenti e destini delle due coppie. Come loro anche Titania rimane vittima di un incantesimo di Cyprian, punizione pensata dallo stesso Oberon per essersi calata nell’edonismo più disperato dopo l’incontro con uno spazzino nero. Caduta nel maleficio, Titania si ritrova, infatti, innamorata di un toro da cui nascerà una creatura mostruosa: un minotauro.
Shakespeare, prima ispiratore, ora è messo da parte dal surrealismo dell’autore perché il suo Sogno non può riproporsi in questa cinica realtà. E così si susseguono scene oniriche di indiscutibile bellezza estetica ma che rappresentano una società abietta: come un gruppo di giovani e ottusi punk che a suon di rock rovinano il giardino di atti vandalici e violenti. Le due giovani coppie trasfigurate dal sogno cadono in un decadente gioco di desiderio e gelosie fino ad assistere al dialogo di un personaggio con la morte, poi i dialoghi tra un pubblicitario (Fabio Sartor) con l’amico architetto ipocondriaco (Andrea Nicolini), ridotto poi a bambino da un incantesimo fantasticamente riprodotto, che si sono uniti nella ricerca di un valido direttore di vendite. Una galleria di personaggi che rappresentano una società insoddisfatta assetata di finti desideri. Lo stesso Cyprian, abbandonato da Oberon, viene ammazzato per mano dello stesso uomo nero dopo aver tentato di molestarlo.
In una società contemporanea così decadente, Titania, magistralmente interpretata dall’eclettica Maddalena Crippa, è rappresentata in una continua metamorfosi kafkiana: da essere divino inquinato da passioni terrene, a desiderosa di un organo animale tale da poter soddisfare l’amato toro, a donna di un altro tempo imprigionata in una rete dai giovani punk, fino a sontuosa donna-albero per poi tramutarsi e assumere un aspetto sempre più comune e banale di umano. Finisce, infatti, per confrontarsi in un gioco a quiz con tre passanti rimasti attratti dalle sue bellezze ma non interessati a conquistarla. Perché il giardino è la rappresentazione dell’uomo contemporaneo in piena crisi di passione e di coraggio.
Titania, ormai umana tra gli umani, si riunisce con Oberon e a tutti gli abitanti del giardino nel proscenio adibito a ristorante a chiacchierare sommessi e in maniera volgare di desideri e intrecci più terreni, specchio di una società confusa e sola.
Come solitaria e sconsolata è la festa finale organizzata dal figlio Minotauro che chiude definitivamente il sipario dopo tre atti di grande teatro.
In una sontuosa scenografia che cattura il sogno e rielabora la misticità, si destreggia abilmente un cast indovinato di attori che con interpretazioni di grande generosità e intensità non soccombono alla cornice immaginifica e germanicamente impetuosa pensata da Stein. La scrittura esuberante e precisa dell’autore, riproposta da Stein con continui richiami all’arte contemporanea in tutte le sue forme, riflette con acuta sensibilità e poesia una realtà ormai depressa e cinica. L’amore è un valore dimenticato, il sesso è una passione degenerata e priva di consapevolezza, il piacere è vissuto in maniera disordinata, la bellezza è vanità, la religione è ancora pensata come un’arma politica, e l’uomo, ridotto ai suoi istinti primordiali e primitivi, è disorientato e senza forza, afflitto dal senso di colpa (tipico della Germania post conflitto) e pervaso da un ingiustificato razzismo e da diffidenza. Allegoria dei nostri giorni, che ha svuotato il potere dell’arte di riscattare l’uomo dalla cultura di massa e dal capitalismo. Il discorso politico riflette una civiltà mutilata e decadente, la poesia è svuotata e l’arte è decaduta e strumentale agli istinti materiali dell’uomo.
L’uomo è così ridotto all’isolamento perché incapace di elevarsi alla natura spirituale, pura e istintiva dell’amore. Il mistico si confonde con l’umano, Stein, con la sua abilità unica, tesse una rete di singhiozzanti e significativi bui e cambi di scena e regala al suo pubblico una dimensione onirica, ironica e di pura spettacolarità forse incompresa, ma l’autore lo sa: “Lei ha capito o origlia soltanto?”.
Roma, teatro Argentina, 16 maggio 2015
Vittorio Sacco
DER PARK
(Il Parco)
di Botho Strauss | dal “Sogno” di Shakespeare
regia Peter Stein, traduzione Roberto Menin
Personaggi e interpreti
Helen Pia Lanciotti
Georg Graziano Piazza
Helma Silvia Pernarella
Wolf Gianluigi Fogacci
Titania Maddalena Crippa
Oberon Paolo Graziosi
Erstling Fabio Sartor
Höfling / Primo sportivo Andrea Nicolini
Cyprian Mauro Avogadro
il giovane nero Martin Chishimba
Ragazza / Cameriera Arianna Di Stefano
Primo giovane / Pianista / Secondo sportivoLaurence Mazzoni
Secondo giovane / Cameriere Michele De Paola
Terzo giovane / Cameriere / Terzo sportivo
Daniele Santisi
Minotauro Alessandro Averone
Piccolo Höfling Romeo Diana, Flavio Scannella
Morte Carlo Bellamio
scenografo Ferdinand Woegerbauer
costumista Annamaria Heinreich
lighting designer Joachim Barth
musiche originali Massimiliano Gagliardi