Al Teatro Goldoni giovani artisti portano in scena l’opera simbolo dell’Olocausto.
Viviamo in un’epoca, e in un paese, che sembrano aver perso il senso più profondo della memoria storica. La funzione del ricordo appare ormai relegata a occasione per eventi che hanno più il sapore di un mero esercizio retorico che non quello di un proficuo momento di riflessione. In altre parole, troppo spesso ci dimentichiamo gli insegnamenti del passato. Eppure, proprio la conoscenza di quel passato è fondamentale per costruire una società democratica, aperta e tollerante. In quest’ottica, assume un significato profondo la messa in scena di un’opera come “Brundibár”, simbolo dell’Olocausto, riproposta al Teatro Goldoni in un nuovo allestimento di Marina Bianchi, realizzato dall’Opera di Firenze/Maggio Musicale Fiorentino in collaborazione con il Conservatorio “Luigi Cherubini” e la Scuola di musica di Fiesole. Sul palcoscenico i bambini e ragazzi del coro di voci bianche guidato da Joan Yakkey, nella buca dell’orchestra i giovanissimi strumentisti diretti da Elena Pierini in alternanza con Farhad G. Mahani, in platea e nei palchi studenti di ogni ordine e grado. Dunque una messa in scena ad opera di giovani artisti a beneficio dei propri coetanei.
La trama richiama le favole dei fratelli Grimm: Aninka e Pepiček, due orfani di padre, cercano del latte per la madre malata. Non avendo soldi per pagarlo intonano una filastrocca per chiedere l’elemosina dei passanti, ma vengono cacciati dal malvagio suonatore d’organetto Brundibár. Durante la notte gli animali decidono di aiutarli e chiedono agli scolari del paese di formare un coro che abbia una voce più potente di quella di Brundibár. Forti dell’unità ritrovata, i bambini riescono a cacciare il suonatore e a curare la mamma malata. Aldilà dell’esile trama, è evidente il simbolismo del trionfo dei bisognosi sulle prepotenze di Brundibár/Hitler. Ma la fama dell’opera è legata soprattutto al ruolo che ebbe nel campo di concentramento di Terezín, dove divenne un simbolo di resistenza.
Scritta su libretto di Adolf Hoffmeister, fu composta da Hans Krása tra il 1938 e il 1939 per un concorso indetto dal Pubblico Ministero per l’Istruzione e la Formazione del Popolo Cecoslovacco. I risultati non furono mai resi noti: l’ingresso delle truppe tedesche soffocò qualsiasi iniziativa culturale. Solo nel giugno del 1941 il direttore dell’orfanotrofio ebraico di Praga, Otto Freudenfeld, per festeggiare il proprio compleanno riunì alcuni membri dell’intellighenzia culturale praghese, tra cui Krása, il direttore d’orchestra Rafael Schächter, il pianista Gideon Klein e lo scenografo František Zelenka. Nacque così la decisione di allestire l’opera, ma la deportazione di Schächter rese nullo il progetto. Ciò nonostante gli orfani della casa Hagibor organizzarono una rappresentazione con un organico ridotto a tre soli strumenti: violino, pianoforte e batteria. Nessuno degli autori ebbe però la possibilità di vedere quella prima rappresentazione: Krása e Freudenfeld furono deportati a Terezín, Hoffmeister, fortunatamente, riuscì a rifugiarsi a Londra. A Terezín i tre musicisti riuscirono finalmente a mettere in scena “Brundibár” per ben 55 volte, ma l’opera continuò ad essere cantata clandestinamente nei corridoi e nelle stanze del campo. La sua importanza fu riconosciuta anche dal comando tedesco che la scelse come esempio della “bella vita” degli ebrei, organizzando una replica di “Brundibár” durante l’ispezione della Croce Rossa internazionale, il 23 giugno 1943. La propaganda arrivò a girare un film, “Der Führer schenkt den Juden eine Stadt” (Il Führer regala una città agli ebrei), in cui il regista Kurt Gerron fu costretto a registrare il canto finale dei bambini. Dopo la partenza della Croce Rossa, quasi tutti gli interpreti furono portati ad Auschwit e destinati alla camera a gas.
La regista dello spettacolo odierno, Marina Bianchi, ha giustamente deciso di ambientare la messa in scena in un orfanotrofio che richiama sia quello ebraico di Praga, sia una camera del ghetto di Terezín, dove è lecito immaginare i bambini che cantano clandestinamente per farsi coraggio e trovare nuova fiducia nel futuro. Così, i soprusi a cui sono sottoposti gli orfani in scena diventano una cornice per la rappresentazione della favola di “Brundibár” che viene cantata come in un sogno. Ma la speranza dei piccoli protagonisti è destinata a rimanere tale e, dopo il canto finale, la scena gradualmente si svuota e i ragazzi scompaiono. Per loro, come per i deportati di Terezín, non c’è futuro.
All’uscita dal teatro gli sguardi di molti spettatori erano lucidi per la commozione. E la nostra speranza è che il ricordo di quelle vittime non vada perduto.
Firenze – TEATRO GOLDONI, 18 ottobre 2014.
Lorena Vallieri
BRUNDIBáR – Opera per ragazzi in due atti e un intermezzo musicale. Adattamento italiano dell’originale ceco. Libretto di Adolf Hoffmeister; musica di Hans Krása (Versione di Terezín, 1943); traduzione di Clara e Daria Domenici; adattamento di Marina Bianchi e Joan Yakkey. Nuovo allestimento di Opera Firenze/Maggio Musicale Fiorentino in collaborazione con il Conservatorio di Musica “Luigi Cherubini” di Firenze e la Scuola di Musica di Fiesole.
Direttore: Elena Pierini; Regia: Marina Bianchi; Scene e costumi: Leila Fteita; Movimenti scenici: Tiziana Colombo; Luci: Giuseppe Di Iorio; Maestro del Coro: Joan Yakkey.
Interpreti: Federico Cucinotta (Brundibar); Coro di voci bianche della Scuola di Musica di Fiesole; Ensemble strumentale del Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze. Figuranti speciali: Livia Russo, Jane Tayan.
Foto: ©Simone Donati/TerraProject/Contrasto; ©Michele Borzoni/TerraProject/Contrasto.