“A cuore scalzo”, Antonio D’Avino
e le trame del destino

Reduce dal successo di “Artemisia”, pièce teatrale dedicata alla pittrice caravaggesca Gentileschi, vissuta nel ‘600, Antonio D’Avino ha avuto una sorta di lontanissimo deja vu. “Anche nella mia prima esperienza teatrale – ricorda – restai un’ora intera in scena, accanto ad un’attrice bravissima. Allora ero accanto a Beatrice Baino, stavolta c’era Titti Nuzzolese, e non posso negare che sia stata un’esperienza molto appagante. Anche grazie al testo di Mirko Di Martino, che ha saputo esaltare le nostre qualità attoriali”. Una storia poco nota, quella dell’artista nata a roma e morta a napoli, la cui vita è sembrata un romanzo, o viceversa. “A quei tempi – racconta D’Avino – una donna non aveva altra scelta che dedicarsi alla famiglia. Artemisia ha pagato a caro prezzo il suo coraggio”. La storia artistica di Antonio D’Avino comincia nel lontano 1993, con il laboratorio teatrale di Lucio Colle. “In realtà ero pigrissimo – sorride – anche se pieno di voglia di fare. Mi iscrissi a Giurisprudenza, ma nel frattempo avevo superato il provino per l’Accademia del Bellini. Studiavo durante le tournée, ma i ritmi erano insostenibili. Per me era pronta una carriera da avvocato, agognata dai miei, ma con “Masaniello” di Tato Russo non avevamo una serata libera”. Il Teatro Bellini nel destino, sotto forma di un remoto colpo di fulmine. “Sedevo in platea e guardavo Lindsay Kemp. Mi chiesi: ma che ci faccio qui? Il mio posto é sul palco! Appena un anno dopo il sogno era già realtà. Dopo tanto tempo ci sono tornato l’anno scorso, in compagnia con Luca De Filippo, per “La grande magia”. Emozione travolgente”. Poi, l’esperienza romana, con Francesca De Sapio ed il metodo Strasberg (“Una folgorazione. Abitavo in un monolocale a Piazza Navona. Anni molto formativi”). Poi, dopo una felice esperienza con Renato Carpentieri, Antonella Morea lo segnala a Luca De Filippo, che lo vuole con sé nella “Filumena Marturano” per la regia di Franco Rosi. “Quello spettacolo – afferma Antonio – è una della pietre miliari della mia vita professionale, assieme a Ubu Roi, con cui esordii da protagonista, e all’esperienza di Museum con Carpentieri. Ora mi sento pronto per commedie brillanti, penso a “Rumori fuori scena”. Sento che queste sono le mie corde”. Se Napoli lo ha richiamato, Roma è stato il set dell’incontro fatale con Simona, partenopea come Antonio, destinata a diventare sua moglie. “Non so se io sia seducente – riflette – mi vedo più come un allegro compagno di bevute. Certo, il mio lato più leggero forse non è stato ancora sfruttato bene sulla scena, forse non riescono a vederlo. Di certo sono un tipo di attore che rende di più se é messo sotto pressione. Sarà qualche bagliore della mia pigrizia innata…”. Prima di andare in scena il pensiero é sempre lo stesso: “A chi dedico stasera la mia prova?”. Già, a chi deve dire grazie Antonio D’Avino? “Alla Morea, come detto, a Benedetta, alla piccola Sofia, e a Lucio Allocca, che mi ha insegnato tanto. Mi ha fatto capire che è possibile, nonostante questo mestiere, avere una famiglia felice”. Un atteggiamento positivo che D’Avino si porta dietro anche nelle difficoltà: “Non esistono crisi, ma solo nuove possibiltà. Per il resto, sono un inguaribile fatalista. E’ tutto scritto nel nostro destino”. Attore di forte identità e sicuro talento, ottima voce per “Casa di bambola” di Ibsen per il Teatro Match di Gianmarco Cesario, Antonio D’Avino promette ancora nuove, interessanti, sorprese. Lo studio da avvocato, per fortuna, può attendere.
Antonio Mocciola

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