“Viene il tuo amante, oggi?” in scena all’Out Off “L’amante di Pinter

A oltre mezzo secolo dalla sua prima rappresentazione, sarebbe interessante cercar di ricostruire come, nel corso del tempo, sia risuonata alle orecchie del pubblico la battuta iniziale de L’amante, di Harold Pinter: “Viene il tuo amante, oggi?”.

Nel ’62, l’anno della pubblicazione, sta per iniziare la stagione della Swinging London, quella che Michelangelo Antonioni porta sullo schermo con Blow-Up; e di lì a poco esploderà in tutta Europa il Sessantotto, con le sue molteplici implicazioni, fra le quali la rivoluzione sessuale, la coppia aperta. I grandi scrittori sono sempre anticipatori del loro tempo, e così è stato per Pinter.

Quella battuta, fino agli anni Settanta, non era forse particolarmente provocatoria, mentre era diversamente spiazzante il prosieguo della vicenda di coppia, quando il pubblico apprende che l’amante di Sarah è lo stesso Richard, il marito; ed è lei la puttana con cui lui confessa di intrattenersi.

Dopo quegli anni trasgressivi, la civiltà occidentale ha vissuto un reflusso. Non che l’antica attitudine ad avere un amante (o un’amante) sia regredita, ma l’ipocrisia è tornata a prevalere: le cose si fanno, ma di nascosto; e quella domanda, così diretta, nella buona società è di nuovo scandalosa. Ma come risuona oggi, in una stagione connotata da una caliginosa crisi economica, dal letargo di valori etici e comportamentali in cui ci siamo adagiati?

1 L'amante di H.Pinter regia Lorenzo Loris nella foto Roberto Trifirò e Cinzia Spanò - foto DORKINLorenzo Loris non è nuovo alla frequentazione di Pinter, e la sua regia de L’amante è fedele al testo, fin dal rispetto rigoroso delle didascalie e delle indicazioni di scenografia. Eppure sentiamo affiorare varie stratificazioni culturali, le diverse possibili interpretazioni di questa parabola surreale, travestita da commedia borghese classica (lui, lei, l’altro), che passa indenne attraverso i corsi e ricorsi del costume e del comportamento.

Non casualmente, il testo è coevo di Chi ha paura di virginia Woolf, di Edward Albee, e vi si apparenta per l’invenzione – in Albee ben più dolorosa, quasi una consapevole menzogna vitale – che cementa un’altra complessa relazione coniugale.
Si percepiscono gli echi dell’incomunicabilità, tema ricorrente in molti film di Antonioni (L’avventura, La notte, L’eclisse, Il deserto rosso, anch’essi degli anni Sessanta ); la ricerca frustrante di una trasgressione che superi la noia esistenziale, la grigia routine del matrimonio.

Ma vi si scorge anche, in controluce, la contraddittoria, impossibile esplorazione di una sessualità, la cui intima essenza non può che sfuggire a qualsiasi tentativo di restituzione verbale o iconica.

Lo sdoppiamento dei ruoli, complicato da un intrigante gioco di specchi, di rimandi e di osmosi fra le due situazioni (e non dimentichiamo, a confondere ulteriormente la carte, la fulminea, equivoca irruzione del lattaio), assume una valenza simbolica (ambigua, polisemica, come per tutti i simboli non banali), che non si esaurisce nello svelamento di un malizioso meccanismo erotico, o di un gioco teatrale.

La scelta registica lascia aperta ogni lettura possibile, senza forzarne nessuna, e i due interpreti l’assecondano con notevole affiatamento e intelligenza, vincendo la scommessa dello sdoppiamento dei ruoli, richiesto dal testo, tanto più efficace in quanto scoperto. Roberto Trifirò vi contribuisce, non solo col travestimento e con invenzioni gestuali, ma anche con efficaci modulazioni dei registri vocali; la casalinga di Cinzia Spanò è elegante, dotata di un irreprensibile bon ton (la visita dell’amante viene annunciata come si trattasse di una seduta di manicure) ma, in un gioco d’occhi di sorprendente espressività, già lascia trasparire la lascivia dell’amante.

Unica libertà che la regia si pende sul testo è una sorta di implicita citazione dell’amicizia personale e dell’affinità che ha legato Pinter e Samuel Beckett (e, più alla lontana, anche alla poetica di Jonesco): Loris aggiunge al testo un finale che riprende la scena iniziale (pensiamo a Godot, o alla Cantatrice calva): un espediente che suggerisce una successione del tempo non sequenziale, ma ricorsiva.

Come ricorsive sono le letture possibili di questo criptico, inquietante capolavoro.

Claudio Facchinelli

L’amante, di Harold Pinter, traduzione di Alessandra Serra

Regia di Lorenza Loris

Con Roberto Trifirò, Cinzia Spanò

e con Vladimir Todisco Grande

Scene di Daniela Gardinazzi, costumi di Nicoletta Ceccolini, luci di Alessandro Tinelli

Musiche originali di Simone Spreafico, collaborazione ai movimenti di Barbara Geiger

Visto a Milano, al teatro Out Off, il 6 aprile 2016

In scena fino all’8 maggio

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