“Uno Zio Vanja”

Vinicio Marchioni e la sua rivisitazione di Čechov in prima nazionale alla Pergola.

Tra gennaio e febbraio 2018, in prima nazionale, è in scena al Teatro della Pergola di Firenze “Uno Zio Vanja”, diretto da Vinicio Marchioni e prodotto da Alessandro Preziosi, Tommaso Mattei e Aldo Allegrini con la Fondazione Teatro della Toscana. Si tratta di un adattamento della nota opera di Anton Čechov con le inquietudini e l’infelicità di uomini e donne che potremmo essere noi.

Nel buio del teatro, al boato tremante di un sisma, il sipario si apre su una scenografia pittoresca e decadente, il retropalco di un teatro in rovina, portato avanti con fatica e stanchezza nel tentativo disperato di non farlo crollare perché sede di ricordi positivi, unica ragione di un presente che non va. È un’analisi sulla realtà contemporanea: il regista Marchioni, con l’aiuto di Letizia Russo, porta le parole del drammaturgo ottocentesco in una generica attualità ancora vestita anni Venti. I personaggi sono attori che esprimono sul palco le proprie crisi d’identità; l’ambientazione, un teatro, rende il racconto meta-teatrale, facendo sottilmente riflettere sul ruolo dello spettacolo oggi e sui valori di cui si fa portatore. I dialoghi non hanno tempo: fedeli all’originale quanto basta, sono resi più comprensibili da qualche familiare modo di dire.

Esteticamente non si poteva fare di meglio: la scenografia dal gusto retrò che tanto piace ai direttori di scena degli ultimi anni e che è abbondantemente adottata anche nel cinema, si pensi a “Il Grande Gatsby” o ad “Anna Karenina”, è riccamente composta e incornicia magnificamente un testo che, in quanto immortale, è difficile da rendere con efficacia. Ci sono problemi, l’insoddisfazione, gli amori mancati, l’incapacità di scegliere la strada che si desidera, il fraintendimento di ciò che sia bene e ciò che sia male, che non riguardano un periodo storico ma la storia; ci sono luoghi, come la provincia, in cui le frustrazioni sono illuminate dalla luce di un temporale o dal caldo sole estivo che irrompe dagli stralci aperti nel muro, e in cui il dolore rimbomba nel silenzio di quattro mura semi spoglie. Sono le passioni più sincere che un uomo può provare e che tutti i lettori di Čechov vogliono riportare dalla propria interiorità al livello epidermico. Basta la musica di Pino Marino a dare sostanza al silenzio e alla bellezza della scena, servirebbero poche altre parole e forse una riduzione temporale del plot. La recitazione, sebbene curata con impegno e precisione, devia la direzione del sentimento; non servono urla: la disperazione è muta e prigioniera, il patetismo è negli atteggiamenti dimessi, l’insoddisfazione nell’inettitudine, nella riservatezza, nei sospiri di una vita che attende e pian piano smette di sperare ma senza accorgersene o dichiaralo. L’espressione isterica non commuove. La felicità, visibile soltanto dondolando su un’altalena o dal proscenio, è uno spiraglio che concediamo alla messinscena, starà allo spettatore decidere se è raggiungibile o se rimarrà nella dimensione di uno sguardo che tende all’infinito.

Firenze – TEATRO DELLA PERGOLA, 5 febbraio 2018.

Benedetta Colasanti

UNO ZIO VANJA – Drammaturgia: Anton Čechov; adattamento: Letizia Russo; regia: Vinicio Marchioni; con Milena Mancini, Lorenzo Gioielli, Nina Torresi, Andrea Caimmi, Alessandra Costanzo, Nina Raia; scene: Marta Crisolini Malatesta; costumi: Milena Mancini e Concetta Iannelli; musiche: Pino Marino; luci: Marco Palmieri; produzione: Khora.teatro, Vinicio Marchioni, Francesco Montanari, Alessandro Preziosi, Tommaso Mattei, Aldo Allegrini, Fondazione Teatro della Toscana.

 

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