Un grande Luca de Bei porta in scena “Kafka il digiunatore”

Un digiuno forzato, nel sanatorio di Kierling, pose fine alla tormentatissima vita di Franz Kafka ed è da questo dato biografico che Luca De Bei, ancora una volta interprete eccezionale di personalità complesse e struggenti, ci racconta la vita e la morte del grande autore praghese.

Il rapporto con il cibo, d’altronde, è direttamente legato al rapporto che l’individuo ha con il male, con il senso del peccato e con la vita materiale. Stazioni sensibili dell’itinerario esistenziale di Franz Kafka che, d’altro canto, narrò in un racconto pubblicato nel 1922 la vicenda incredibile di un artista della fame.

Ecco allora che Luca De Bei, raccontando il digiuno coatto a cui l’autore fu obbligato dal suo male, digiuno causato dall’impossibilità di deglutizione dovuta ad uno stato di gravissima prostrazione clinica, e dando contemporaneamente voce al protagonista del racconto “Il digiunatore”, prova ad evocare i fantasmi tragici della vita di Kafka.

Perfino nell’allestimento scenico, curato da Valeria Mangiò, De Bei è come se sezionasse lo spazio in due diversi ambienti: quello della realtà biografica, in cui lo spettatore segue le ultime ore di vita dello scrittore, ascoltandone la flebilissima voce che si leva dall’andito in penombra di una cella abbacinata dalla luce calda e disperata del tramonto, recinto dell’anima più che del corpo, e quello della narrazione in cui avviene la trasfigurazione vivace prima, e malinconica poi, dell’autore nel protagonista del suo racconto, cioè in quel campione del digiuno che finirà i suoi giorni in straziante solitudine, dimenticato in una gabbia del circo in cui si era, suo malgrado, ricoverato.

In entrambe le vicende, quella biografica di Kafka e quella romanzesca del digiunatore, il rifiuto della vita rimanda in maniera diretta al digiuno che è, in modo ambiguo e arcano, causa ed effetto al tempo stesso del malessere di entrambi.

Quasi una proiezione profetica, dunque, quel digiunatore creato dal genio kafkiano. Una proiezione profetica ma, probabilmente, non casuale. Una proiezione/profezia a cui lo stesso autore rivolse – ci piace crederlo – il suo sguardo sarcastico e disincantato. Lo sguardo con cui osservava il paradosso elevato a sistema in cui vive l’uomo contemporaneo, inguaribilmente scisso tra consapevolezza, fame d’esperienza e spleen esistenziale.

Roma, teatro dei Conciatori, 12 febbraio 2017

Claudio Finelli

 

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