“Noah”, un film poco biblico
e molto fantasy

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Anzitutto, la prima cosa da chiarire è che il testo da cui questo film  è tratto è composto da pochi capitoli (5-9) all’interno della Genesi, a sua volta scritta in poche righe, o quanto meno non abbastanza da potere trarne un film la cui durata è di 140 minuti.
Risulta infatti già dai primi minuti della pellicola che le licenze che si concederà saranno numerose e lo discosteranno da film biblico, per portarlo su binari più fantasy.
La storia è nota a tutti: il pastore Noè (Russell Crowe) riceve dal “Creatore” (così è nominato Dio per tutto il film) dei sogni premonitori che preannunciano un diluvio universale, tale da eliminare tutto il male originatosi negli uomini dal momento del Peccato Originale fino all’assassinio di Caino ai danni del fratello Abele. Il compito che “iI Creatore” affida a Noè sarà quello di costruire un’ Arca abbastanza grande da contenere una coppia (un maschio e una femmina) di ogni specie di animale. Così, assieme alla fedele moglie (Jennifer Connelly), ai suoi tre figli Sem, Cam e Iafet, più l’aiuto di Mostri di Pietra (una delle licenze a cui si faceva riferimento), costruiranno, con non poche difficoltà, la storica ed epica Arca.
Sebbene il regista Darren Aronofsky abbia dichiarato che quest’adattamento sia fedele all’Antico Testamento, è difficile che la sua visione di Noah possa piacere ai più fedeli. Appare chiaro che le invenzioni apportate alla pellicola hanno più una funzione diegetica cinematografica, e che la fedeltà al racconto originale si limiti solo al protagonista Noè ai filoni principali della storia. La comunicazione storica dei fatti, viene fin da subito abbandonata, risultando confusionaria.
Il Noè pensato da Darren Aronofsky è un marchio di fabbrica di tutti i protagonisti dei suoi precedenti film (Natalie Portman ne “Il Cigno Nero”, Mickey Rourke in “The Wrestler”): è un personaggio che si sobbarca innumerevoli decisioni con relativi sensi di colpa che ne derivano. Esso viene messo abilmente in mostra da un Russell Crowe in grande spolvero, tramite le sue espressioni enfatizzate dai primi piani di regia, pertanto tutto ciò è credibile e arriva concretamente allo spettatore. Su tutte le prove attoriali, nel film padroneggia la prova  messa in scena dal premio oscar Jennifer Connelly; infatti, uno dei momenti più intensi del film è il frutto di un suo monologo recitato alla perfezione.
Costato 130 milioni di dollari, il film mette in gioco scene catastrofiche ricreate con un magistrale utilizzo del CGI (l’Arca però è stata costruita realmente).
In conclusione, Noah è un film che deve essere visto senza preconcetti e senza critiche per la parziale (in)fedeltà. Deve essere preso per quello che è: un colossal fantasy, prodotto cinematografico d’intrattenimento made in Hollywood.

Dario Cerbone

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