“Le tende della mezzanotte”, tre destini
nel gioco della bottiglia

È giusto che il teatro si mostri anche nel suo divenire; è giusto che il pubblico possa assistere a spettacoli dalla non perfetta messa a punto, così come è giusto che registi e attori si sottopongano al giudizio spassionato non di uffici stampa servili e menzogneri o di platee drogate di mediocri fiction finanziate con l’estorsione forzosa tramite bollette dell’energia elettrica, ma di persone vive e pulsanti a pochi metri dal palco: serve a irrobustirsi e – un domani – a mettersi in tasca la pletora di mediocrità che ha invaso le arti (non solo teatrali) d’Italia.
“Le tende di mezzanotte” è uno di questi spettacoli. Ma sbaglia chi pensa ad una ‘stroncatura’. È il contrario: è sprone, flessibilità, incentivo alla crescita. Il testo di Antonio Mocciola (indubbiamente non tra i suoi migliori perché scarno e con un fulcro narrativo debole) racconta la semplicistica catarsi di un bullizzato (Francesco Sciascia) in vendicatore di anni di piccole angherie subite che iniziano negli anni del liceo e arrivano a quelli dell’età adulta per mano di due ex compagni di scuola, ora fidanzati (Lorenzo Magnano e Giulia Curti).
Il pur apprezzabile impegno dei tre attori non aiuta, però, a creare quella necessaria tensione di cui il testo avrebbe immenso bisogno: una regia troppo lineare, tanti tempi morti recitativi e l’uso quasi sempre piatto della luce rendono lo spettacolo monocorde e poco accattivante, ma resta il piacere (ancorché rimandato per il suo pieno compimento) di vedere passione, voglia e determinazione in un orizzonte difficile, ingrato e competitivo che necessita senza meno di incoraggiamento e sostegno. Purché non si getti la spugna al primo (piccolo) ostacolo.
Per aspera ad astra!
Francesco Giannotti
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