QUEL SALVIFICO TICCHETTIO DELL’ANIMA

Esco dalla visione di “Daimon. L’ultimo canto di John Keats” con l’idea fissa di un orologio. Un piccolo orologio da polso meccanico a cui si è scoperchiato il fondo e si è stati ammessi a contemplarne i minuscoli ingranaggi che all’unisono lo fanno funzionare con quell’armonia perfetta di ogni singolo elemento, in relazione perpetua con l’altro da cui dipende e fa dipendere.

Ma quell’orologio sei tu; non ci sono alibi né deleghe e presto o tardi sei chiamato a vedere se e quanto quel gioco di sincronie e ticchettii ti corrisponda o meno, quanto hai fatto perché ogni frammento si rapportasse all’altro nello sforzo corale di segnare il tempo. Ma qui il tempo non è quello diacronico, quello degli anni e della vita che scorre e che corre, ma è solo un tempo della consapevolezza, della lucidità, dello scarto qualitativo che rispetta la tua missione su questa terra e omaggia quella vocazione ultima che esistenze forzosamente superficiali ed ebbre di contingenza quasi sempre dimenticano o eludono.

Paolo Vanacore scrive un testo assoluto, multilivello e sferico che, come la perfezione di un cerchio col compasso, disegna gli inevitabili accidenti di due vite sublimemente obbligate a riferirsi l’una all’altra: quella di James Hillman, filosofo e psicanalista (seguace di Jung) e quella di John Keats, punta di diamante del Romanticismo inglese che Hillman riconosce (dopo un fugace ma rivelatore incontro in fanciullezza) essere il proprio daimon – quella guida spirituale, quella coscienza divina che indica il senso e la via del proprio vivere – durante una visita al cimitero acattolico di Roma, dove il poeta è sepolto dal 1821.

Lo spettacolo accompagna lo spettatore in questo percorso che è sì dell’anima ma anche molto del quotidiano, delle culture, delle epoche, dei travagli del crescere e del senso delle cose. E lo fa con una delicatezza sorprendente, alternando momenti di canto, di introspezione e di riflessione profonda in un unicum che strega e commuove, incanta e consegna; consegna frammenti di quell’orologio che, chi sa e può, è chiamato a mettere insieme per ricostruire il proprio orologio, il proprio complesso e salvifico meccanismo esistenziale.

Unico, eccellente, misurato e sempre adeguato artefice di un lascito di tale ciclopica portata è Gianni De Feo che cura anche la regia: uno tra gli attori più talentuosi e versatili che l’Italia, colpevolmente dimentica di chi meriterebbe molte più attenzioni e riconoscimenti, possiede. Ma – in barba ad ogni mondanità e ambizione terrena – ciò che De Feo e Vanacore ci donano, surclassa ogni torto proprio perché riconoscere il daimon che ognuno ha (o avrebbe), è premio e privilegio solo di coloro che sanno meritarselo.

Francesco Giannotti

Teatro “Lo spazio” – Roma

3 – 5 febbraio 2023

“Daimon. L’ultimo canto di John Keats” di Paolo Vanacore

regia Gianni De Feo

con Gianni De Feo

videoarte Roberto Rinaldi

arrangiamenti musicali Alessandro Panatteri