“Virgilio Brucia”, l’opera del gruppo Anagoor divide spettatori e critica

Il programma del “Napoli Teatro Festival Italia” mette in scena all’Auditorium di Castel Sant’Elmo, per la serata del 26 giugno, “Virgilio Brucia”, del gruppo Anagoor. Compagnia nata a Castelfranco Veneto nel 2000 sulla spinta di Simone Derai e Paola Dallan che, sin dalla fondazione, si è contraddistinta per l’attenzione ai classici, rielaborati e rivisitati secondo una chiave interpretativa originale, spesso ardita. Coraggiosa è sicuramente anche la rappresentazione cui abbiamo assistito che, in uno scenario di operette ruffiane che puntano a fare cassetta, si rivolge ad un pubblico di nicchia, a partire dalla scelta dei brani in armeno e latino o di immagini forti. Del resto, che il profilo medio dello spettatore teatrale si sia modificato nel corso degli anni è palese anche dall’abbigliamento; siamo quasi inorriditi nel vedere qualcuno in bermuda. L’atmosfera informale della serata non è un’attenuante; anche occasioni decisamente più canoniche, in teatri prestigiosi, hanno messo in evidenza questa tendenza.

Virgilio brucia, più che essere incentrata sull’Eneide, vuole fare metaletteratura, metateatro, a tratti diventa quasi metafisica, pur nella crudezza delle immagini.

Si inizia con un proemio tratto dalla Morte di Virgilio di Hermann Brochtr, molto intenso, recitato in armeno, con il rumore delle onde e del vento di sottofondo.

Virgilio è morto, ma l’opera che si era riproposto di bruciare, l’Eneide appunto, è salva. Tanto riserbo da parte del poeta, anche nei confronti dello stesso Augusto, cui, per anni, aveva rifiutato di far leggere anche solo dei brani.

Tanto sconvolto, forse, dalla violenza di diversi passi del suo stesso scritto, come dall’acuta contrapposizione tra la storia dei vinti troiani e la magnificenza romana.

Dopo l’emozionante proemio ci troviamo di fronte al primo disorientamento della serata; sono proiettate le scene di una scuola dei nostri giorni. La voce narrante parla della fuga indiana dalla Birmania in un interessante parallelismo con il rogo di Troia. In ogni caso, storia e tragedia di popoli vinti. L’immagine stringe sul professore, interpretato da un ottimo Marco Cavalcoli, che, a questo punto, enuclea la teoria sui classici da cui parte l’idea dell’opera, ma anche in generale un po’ tutta l’attività degli Anagoor. I classici, sono da considerare anche andando oltre l’apparente immutabilità costituita dalle oggettive tracce lasciate dell’autore; in particolare, sono influenzati, nella ricomposizione complessiva, dai tratti culturali peculiari del tempo in cui ne avviene la fruizione. Interessante teorizzazione di un’esegesi capovolta, o almeno complessa, in cui, oltre alla personalità del poeta e alla contestualizzazione storica dello stesso, sono le varie epoche a dare qualcosa all’interpretazione semantica, in una concezione dell’oggetto che, non solo si impone all’attenzione del soggetto, ma che dallo stesso, in qualche modo, è relativizzato nella sua natura.

Si torna sul palco, con la lettura dei “Consigli a un giovane poeta” di Danilo Kiš, recitati in lingua originale, serbo, con i sottotitoli in italiano che scorrono sullo schermo, così come per il proemio.
Si sovrappone una scena suggestiva, la raccolta del miele, citazione delle
“Georgiche”.

L’opera giunge nel vivo. Si arriva ad uno dei tre libri che poi Virgilio accettò di leggere ad Augusto e alla sua famiglia in diverse serate, il sesto, quello che narra la discesa di Enea nel regno dei morti.

Ecco un altro straniamento per lo spettatore: la morte è rappresentata dalla nascita, vista negli allevamenti intensivi, o nella crudezza del parto di una mucca e di una scrofa. Qualcuno dal pubblico lascia la sala; anche questo da mettere in preventivo per chi sceglie di raccontare oltre gli schemi, senza mezze misure.

Dall’individualità del poeta si passa ad esistenze fatte di dolore, massificazione, sconfitte; la scena di una mucca munta da un freddo robot, in cui l’umanità della mungitura tradizionale è completamente dissolta.

Le scene proiettate lasciano di nuovo spazio agli attori. Se fino a questo momento i narratori erano in abiti della nostra quotidianità, per la recitazione del secondo libro dell’Eneide, il rogo di Ilio, la fuga da Troia, ora i protagonisti sono in costumi d’epoca. Il passaggio è segnato da un Augusto che sveste, non sono metaforicamente ma letteralmente, i panni dell’attore per indossare quelli di scena, per ultima un’emblematica maschera dorata.

È il momento di uno strepitoso Marco Menegoni. La sua recitazione in latino è strabiliante per intensità, per la capacità di cambiare registro e tono in relazione al personaggio cui dà voce. L’imperatore stesso, all’inizio impassibile, si lascia andare man mano alle emozioni.

Dopo una performance di tale livello gli applausi sono scroscianti; Menegoni ha avvinto, commosso, trascinato, riuscendo a non essere mai scolastico o inespressivo in circa 40 minuti di recitazione in latino.

Virgilio brucia” è uno di quei lavori che continua anche dopo aver lasciato la sala. Le suggestioni, il disorientamento, le emozioni, sono avvicendati dalla riflessione.

L’Eneide, diversamente da tante letture tradizionali, è vista come opera a tratti malinconica, permeata dal dolore che contraddistingue l’esistenza.

E “Virgilio brucia” è anche opera di contrasti, già a partire dall’accostamento tra nascita e morte della scena relativa al sesto libro.

Del resto, l’espressione del poeta ha forza proprio perché nasce da tormento interiore, passione e sofferenza.

Virgilio, personaggio dalle molte sfaccettature, al centro di episodi storici e leggendari che riguardano anche la città di Napoli, dentro di sé ha tutto questo. Brucia di un sacro e umano fuoco nel quale forgia la sua arte.

Alla fine lasciamo Castel Sant’Elmo in un particolare stato d’animo, ancora assorti. A stento percepiamo il vociare degli altri spettatori, la stridente differenza dei commenti.

A noi l’opera è piaciuta; una sola grossa pecca ci viene in mente. La necessità di seguire i sottotitoli per le parti in lingua che costituiscono la stragrande maggioranza della narrazione ci ha costretti a distogliere l’attenzione dalla scena. Così, mentre scorrevano le parole di Danilo Kiš, non abbiamo potuto osservare i particolari della raccolta del miele. Ancor peggio nell’epilogo, il dover leggere i versi sullo schermo in alto non ci ha consentito di concentrarci su quello che accadeva sul palco, le reazioni di Augusto e della famiglia imperiale, ma ancor di più la mimica di un Menegoni che, ripetiamo, essere stato a dir poco grandioso.

VIRGILIO BRUCIA

di Simone Derai, Patrizia Vercesi
regia Simone Derai

con Marco Menegoni, Gayanée Movsisyan, Massimiliano Briarava, Moreno Callegari, Marta Kolega, Gloria Lindeman, Paola Dallan, Monica Tonietto, Artemio Tosello, Emanuela Guizzon
e con la partecipazione straordinaria in video di Marco Cavalcoli
concept Simone Derai, Moreno Callegari, Giulio Favotto
direzione della fotografia Giulio Favotto / OTIUM
editing Simone Derai
sound design Mauro Martinuz
regia Simone Derai 

costumi Serena Bussolaro, Simone Derai
accessori Silvia Bragagnolo
maschera di Ottaviano Augusto Felice Calchi
scene Simone Derai, Luisa Fabris, Guerrino Perosin
musiche Mauro Martinuz
arrangiamenti musiche tradizionali, composizioni vocali originali e conduzione corale Paola Dallan, Gloria Lindeman, Marta Kolega, Gayanée Movsisyan
Byzantine chant
e Kliros tratti da Funeral Canticle di John Taverner
beats Gino Pillon
traduzione e consulenza linguistica Patrizia Vercesi
testi ispirati dalle opere di Publio Virgilio Marone, Hermann Broch, Emmanuel Carrère, Danilo Kiš, Alessandro Barchiesi, Alessandro Fo, Joyce Carol Oates
organizzazione Marco Menegoni per Anagoor, Laura Marinelli e Stefania Santoni per Centrale Fies
comunicazione Virginia Sommadossi per Centrale Fies

produzione Anagoor
coproduzione Festival delle Colline Torinesi, Centrale Fies, Operaestate Festival Veneto, University of Zagreb-Student Centre in Zagreb-Culture of Change
Anagoor è parte di Fies Factory e APAP-Performing Europe

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