Si può, con un pianoforte, una viola, una postazione elettronica, una successione di immagini e parole proiettate su schermi di tulle, costruire un discorso articolato e coinvolgente sui destini dell’Europa?
Si può; e una giovane compagnia di artisti spregiudicati, impegnati in percorsi di ricerca, c’è riuscita.
Un recensore della mia generazione ha difficoltà ad inserire in una tassonomia consolidata un oggetto spettacolare dove la musica acustica si intreccia con la campionatura elettronica, col video, con la parola scritta.
Un concerto? Una installazione? Un happening?
Forse tutto ciò, ma ancora qualcosa di diverso.
TITO.fragments – Jedem Das Seine si inserisce in un progetto di ampio respiro, Tito – Rovine d’Europa ed è l’esito di un percorso creativo che arriva da lontano e non è ancora concluso: è il risultato visibile di una ricerca che parte dalla prima, forse la più truculenta delle tragedie di Shakespeare, il Titus Andronicus, incrociata con la riscrittura data da Heiner Muller.
I materiali che compongono i Fragments sono stati raccolti durante un viaggio che un gruppo di artisti di Cubo Factory avevano intrapreso un anno prima, nel febbraio 2019, fra la Germania e la Polonia, alla ricerca di ciò che hanno chiamato le rovine del nostro tempo: tra Berlino, Weimar, Buchenwald, Dresda, Varsavia. “Abbiamo posto una domanda al vuoto,” scrive il regista, Girolamo Lucania, “confusa e incomprensibile. La risposta è stata il silenzio”.
Quelle immagini, quegli effetti sonori, assieme alle riflessioni che ne erano scaturite, sono stati elaborati con un lungo lavoro di squadra durato un anno intero, per esser presentato in occasione del Giorno della Memoria, fissato come è noto nella ricorrenza della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, raggiunto il 27 gennaio del 1943 da una stupefatta avanguardia di giovani soldati russi a cavallo.
A tutti è nota la scritta che ancora campeggia all’entrata del lager, ma l’attenzione degli artisti si è focalizzata sul campo di Buchenwald (la foresta di faggi grata a Goethe), sul cui cancello ne spicca un’altra, meno nota, ma altrettanto sarcastica: Jedem Das Seine, cioè “A ciascuno il suo”, regola aurea del diritto romano.
In quella scritta si possono leggere, in controluce, alcune delle feroci specificità del campo: l’operazione eutanasia, nota come Aktion 14F13, volta all’eliminazione di tutti i disabili; o gli spietati, invasivi esperimenti farmacologici per una supposta normalizzazione degli omosessuali.
Partendo dalle sollecitazioni scaturite dalla visione del lager, TITO.fragments – Jedem Das Seine induce a considerazioni sul nostro tempo, sulla comunicazione di massa, sulla cultura del consumo: fattori che riescono a narcotizzare la memoria, a manipolare la storia, a renderla anch’essa oggetto di consumo, e quindi deperibile. Agli orrori del ’900 si sovrappongono le immagini schizofreniche della società odierna, fatta di insegne led, di una tv – volutamente capovolta – che li sommerge, e fa dimenticare la storia.
Alle parole proiettate su schermi semitrasparenti sono affidati i riferimenti storici; i temi e gli approfondimenti che ne discendono, eticamente politicamente qualificati, sono ripresi da un incontro dibattito e da una mostra di fotografia, organizzati nella sede di Cubo Teatro nei giorni in cui si tengono le repliche dello spettacolo.
Ma fra i motivi d’interesse di questo evento spettacolare, non c’è solo l’importanza e la spietata durezza del messaggio, bensì della scelta espressiva: una originale, organica commistione di parola scritta, immagini, suoni acustici ed elettronici, registrazioni sul campo.
Dietro il primo velo di tulle lo spazio scenico presenta in primo piano un pianoforte verticale denudato della sua nera carrozzeria, che in tal modo rivela il segreto geloso della sua vetusta, mirabile meccanica. Lo suona di spalle Ivan Bert, che ogni tanto lascia la tastiera per impugnare la tromba. Dietro il secondo velo di tulle si indovinano le figure quasi fantasmatiche di Marco Benz Gentile alla viola e Mario Conte alla consolle elettronica, che appaiono e scompaiono, ora coperti dalle immagini e dalle scritte, ora rivelati da un’articolata gestione della luci.
Le parole, pur così importanti nell’impianto dello spettacolo, non si odono ma si leggono, proiettate sul doppio velo di tulle, integrate ed esaltate dalle immagini e dalla musica. Ma non c’è una vera partitura, bensì una sorta di canovaccio, accuratamente progettato: la successione dei video è ogni volta comunicata in cuffia dal regista ai tre artisti in scena che, a loro volta interagiscono fra loro con reciproci rimandi, secondo una modalità che è tipica del jazz e della composizione estemporanea. In tal modo ogni replica è un unicum, che può lievemente differire dalla precedente.
Ma il risultato comunicativo di questo originale prodotto, creato da artisti dai venti ai cinquant’anni, è vincente, perché arriva con immediatezza e coinvolge emotivamente un pubblico trasversale e intergenerazionale,
Forse, una forma artistica ed espressiva che potrebbe fornire un modello nuovo di didattica della storia.
Claudio Facchinelli
TITO.fragments – Jedem Das Seine
Ideazione e regia di Girolamo Lucania; drammaturgia e testi di Michelangelo Zeno; ideazione e direzione musicale di Ivan Bert, Visual Art di Riccardo Franco Loiri (Akasha Art).
In scena: Ivan Bert (pianoforte e tromba modificata), Marco Benz Gentile (viola), Mario Conte (elaborazione elettronica dal vivo, oggetti sonori).
Produzione: Cubo Teatro, Cubo Factory in collaborazione con Istoreto, Consiglio regionale del Piemonte, OFF TOPIC.
Visto al Cubo Teatro di Torino il 6 febbraio 2020