Torino TGLFF, l’isola felice
alle soglie del trentennale

La ventinovesima edizione del Festival del Cinema Gay di Torino (TGLFF per sintetizzare) lascia, come sempre, una miriade di sensazioni spesso contrastanti tra di loro. Per una settimana all’anno nel capoluogo piemontese si riversano attori, registi, giornalisti, scrittori, artisti di ogni genere, per immergere gli occhi e le penne in un universo, quello omosessuale, spesso travisato, quando non addirittura frainteso. Se qualcuno pensa che abbia ancora un senso metter su un festival “di genere” in un mondo che corre veloce verso l’integrazione (o piuttosto omologazione?) forse dimentica di vivere in Italia, oppure non ci vive. In una nazione in cui ministri e presidenti del consiglio ancora ammiccano, sfottono, offendono o bloccano leggi sull’omofobia, servi del Vaticano o peggio ancora degli umori della plebe, questo Festival assurge a isola felice e benedetta, da preservare con amore e possibilmente con la presenza. Entrambi c’erano, stanti i continui “sold out” nelle sale del cinema Massimo, e si è visto anche del buon cinema, a cominciare dal film vincitore del premio più ambito, l’”Ottavio Mai”: “Der Kreis” di Stefan Haupt è la toccante storia di due uomini che, nella Svizzera del dopoguerra, vivono un amore contrastato dalle leggi e dai legacci sociali, per poi sposarsi nel 2000. I protagonisti della storia, quella vera, erano presenti in sala (nella foto seguente, accanto a una scena del film).

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Chissà quando dovremo attendere per vedere lo stesso happy end nel Belpaese… Molto meno lieto il finale de “La partida”, film ambientato a Cuba per la regia di Antonio Hens, cui la giuria, composta da Paola Pitagora, Pippo Delbono, Gabriele Ferraris, Ron Peck e Gal Uchovsky, ha assegnato un premio speciale: la fuga d’amore progettata da un ragazzo con il suo amore proibito annega nel sangue. E sono molti, tra i film visti, quelli che finiscono male, secondo il consueto paradigma amore gay-colpa-espiazione. Ma anche questo, col tempo, cambierà. I voti del pubblico hanno premiato “Hoje eu quero voltar sozinho”, film brasiliano diretto da Daniel Ribeiro, mentre tra i documentari la Giuria, composta da Milena Paulon, Luigi Romolo Carrino e Gabriele Farina, ha premiato il francese “Violette Leduc: la chasse à l’amour” di Esther Hoffenberg, conferendo una menzione speciale al britannico “Rebel menopause” di Adele Tulli, premiato anche dal pubblico.

Resta impresso il cortometraggio, “For Dorian” di Rodrigo Barriuso, canadese, storia di un adolescente gay affetto dalla sindrome di down. Tema poco sfruttato che non a caso la Giuria, composta da Silvia Minelli, Alessandro Fullin e Enrico Salvatori, ha premiato compatta. Menzione speciale all’incredibile Das phallometer di Tor Iben, tedesco, mentre il pubblico ha votato lo svedese “Ett Sista Farvall” di Casper Andreas. Tra i corti (non in gara) ci piace ricordare quello italiano, cosa rara di per sé, di Giuseppe Bucci, “Luigi e Vincenzo”, in cui i diritti di assistenza in una struttura ospedaliera delle coppie omosessuali (ma anche etero non sposate) esplode in tutta la propria drammatica e struggente potenza. Lode a due attori popolarissimi, Francesco Paolantoni e Patrizio Rispo, che hanno offerto la loro interpretazione in due ruoli non facili, e al bravissimo regista partenopeo (nella foto seguente), sempre in prima linea sulle tematiche dei diritti civili.

 

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La Giuria, guidata da Max Croci e composta dagli studenti dello IED (Ludovica Drusi, Francesca Gallina e Giulio Rocca) e del DAMS di Torino (Davide Bertolino, Bianca Cassinelli e Edoardo Monteduro), ha assegnato il Queer Award al tedesco “Ich fuhl mich Disco” di Alex Ranisch mentre all’olandese 20 leugens, 4 ouders en een scharrelei di Hanro Smitsman la Giuria degli studenti del DAMS di Torino, composta da Davide Drochi, Ilaria Frare, Alessandra Madonia, Giacomo Mezzetti, Martina Ponsa, Federica Scarpa e Chiara Tamburini, ha assegnato il Premio DAMS – Sguardi sul Festival.

Sul palco, con il padrone di casa Giovanni Minerba (nella foto seguente), si sono alternati i volti noti di Ambra Angiolini, madrina del festival, da sempre paladina della causa, la veterana Orietta Berti e la giovane Levante (nella foto accanto), Fabio Canino, Vladimir Luxuria, Emma Dante e tanti giovani artisti, quasi tutti locali, che con le loro performance musicali, hanno impreziosito il festival facendo da apprezzato antipasto ai film in programma, un’idea davvero azzeccata.

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Ed ora, il trentennale incombe. Il festival a tematica gay più longevo d’Europa non accusa segni di stanchezza creativa, tutt’altro. Minerba e il suo staff sono riusciti ancora una volta a creare una bomboniera d’arte e di libertà creativa che lascia ogni anno stupefatti, una macchina perfetta (ma anche umanissima) che rassicura da un lato, e sorprende dall’altro. Mentre fuori imperversano burrasche sociali e non meno inquietanti bonacce politiche, benedette dalle finte “aperture” clericali, il Festival torinese (ma sempre più internazionale) è vivo, vegeto, e lotta insieme a noi.

                                                                                                                                                                                                   Dall’inviato Antonio Mocciola

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