“L’ispettore generale”, sulfureo e grottesco realismo

Originale ma fedele lettura del regista Damiano Michieletto del capolavoro teatrale di Gogol

02_20140119 _IspettoreGenerale190114_ FOTO DI SERENA PEAFra i grandi russi, Gogol’ è forse lo scrittore cui è più difficile attribuire un genere letterario specifico. Il suo sguardo attento ed ironico si posa sull’umanità che lo circonda, la dipinge con puntigliosa acribia ma, dalla restituzione quasi iperrealistica di quel mondo, scaturiscono a volte fantasmi, creature surreali: pensiamo ai racconti Il cappotto, Il naso. Dalla sua pagina emerge a tratti quell’inclinazione al fantastico, al favoloso, connaturata alla cultura popolare russa, che si è espressa, forse anche con maggior visibilità, in altri ambiti artistici: nelle composizioni di Rimskij-Korsakov, di Stravinskij; nei dipinti del primo Kandinskij.

19_20140110 _IspettoreGenerale100114_FOTO DI SERENA PEAGogol’ scrive L’Ispettore generale (Revizor) nel 1836, all’età di 27 anni: una corrosiva, impietosa satira dell’endemica corruzione dilagante nella società russa del suo tempo. Come per scansare le critiche che gli arrivano dagli ambienti conservatori, l’autore riporta sul frontespizio, a mo’ di epigrafe, un vecchio proverbio russo: “Non prendertela con lo specchio, se il tuo muso è storto”.

La commedia, a dispetto della dichiarata ambientazione storica e geografica nella provincia russa del primo Ottocento, sembra scavalcare con facilità quasi due secoli, e riferirsi, con inquietante verosimiglianza, alle vicende di cui abbiamo quotidianamente notizia.

17_20140118 _IspettoreGenerale180114_FOTO DI SERENA PEAAnche se la tentazione di strizzare l’occhio alla cronaca dei nostri giorni sarebbe forte, e quasi d’obbligo, l’adattamento di Damiano Michieletto rinuncia ad un’esplicita lettura in chiave contemporanea. Invece di intervenire sul testo, cui rimane sostanzialmente fedele, anche nelle citazioni delle bislacche gerarchie della burocrazia zarista, il regista preferisce sparigliare le carte spargendo a piene mani arguti anacronismi (un vezzo espressivo già presente in precedenti lavori): un bancone da bar anni Cinquanta, una valigia tipo Samsonite; un telefono anni sessanta; un iPod, una slot-machine, un televisore a muro, scarpe da donna con zeppe e tacchi da 18 centimetri. Il look del sindaco è quello del boss mafioso, completo di occhiali scuri e pacchiano ciondolo d’oro, occhieggiante dalla scollatura della camicia. I due possidenti, Bobčinskij e Dobčinskij, sembrano una variante, ancor più sfigata ed esilarante, di Stanlio e Ollio.

Anche la partitura sonora è costituita da un gustoso bric-à-brac: a canzonette anni Sessanta si alternano militareschi cori di impronta sovietica e la voce roca e maschia del cantautore Vladimir Vysockij.

Si direbbe che Michieletto, forte di un’ormai consolidata esperienza nel campo della lirica, abbia riversato in Gogol’ la leggerezza di ritmo e la malizia di certe pagine pucciniane. Né disturbano alcuni sobri scostamenti dal testo originale laddove, per esempio attribuisce alla figlia del sindaco, la maldestra, bruttina Mar’ja Antonovna, il ruolo di una sorta di silenzioso personaggio coro: sarà lei ad avvolgere l’intera masnada dei turlupinati (un tableau vivant alla cui realizzazione Gogol’ dedica una corposa e precisa didascalia) con una larga striscia di plastica trasparente, come per congelare la loro immagine di miserabili, patetici cialtroni.

Quanto al chiassoso, volgare burlesque del sottofinale, nel quale – esclusa la dolente, ormai consapevole figlia del sindaco – si lascia coinvolgere l’intero gruppo, illuso di aver trionfato sul presunto ispettore generale, più che un ammiccamento ai gossip del nostro tempo, lo leggerei come un ulteriore omaggio a quel côté fantastico della poetica gogoliana di cui si è detto: un tocco sulfureo, quasi surreale, che corona una parabola sulle ricorsive, meschine storie di corruzione.

Alla questo pletorico campione di umanità (ventisei i personaggi dell’originale, giudiziosamente ridotti) dà corpo una dozzina di attori, alcuni impegnati in più di un personaggio, tutti bravissimi e brillanti anche nella molteplicità di gustose controscene: presenze che rimangono in parte anche durante i cambi scena a vista, che la regia, con invenzioni di notevole efficacia spettacolare, riesce ad incorporare nell’azione drammaturgica, persino nell’intervallo fra i due tempi.

Milano, Piccolo Teatro Paolo Grassi – 18 febbraio 2014

Claudio Facchinelli

L’ispettore generale, di Nikolaj Vasil’evič Gogol’.

Adattamento drammaturgico e regia di Damiano Michieletto; scene di Paolo Fantin; costumi di Carla Teti; disegno luci di Alessandro Carletti.

Con Alessandro Albertin, Silvia Paoli, Eleonora Panizzo, Fabrizio Matteini, Alberto Fasoli, Michele Maccagno, Alessandro Riccio; Luca Altavilla; Emanuele Fortunati; Stefano Scandaletti, Pietro Pila.

Produzione: Teatro stabile del Veneto – Teatro Stabile dell’Umbria

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