“L’isola degli invertiti (Ricino)”
I lampi accecanti della storia

La crudele, micidiale e sottaciuta persecuzione degli omosessuali in epoca fascista rivive ne “L’isola degli invertiti (Ricino)”, grazie alla fervida e incandescente penna di Antonio Mocciola, che insieme a Pasquale Marrazzo, anche regista dello spettacolo, confeziona una bomba di emotività compressa, con squarci brevi e deflagranti: le violente sequenze in questura, ad esempio, vero turning point di una drammaturgia che si avvicina molto a una sceneggiatura, tanto che sarebbe desiderabile una versione da grande schermo.

Antonio D’Avino, nel ruolo del questore Alberto Tucci, fa davvero tremare i polsi, sia in versione “domestica”, sia al posto di comando. Sponda perfetta del suo furore l’ostinata determinazione del figlio Umberto (l’ottimo Vincenzo Coppola) di viversi la propria storia d’amore, e il proprio percorso professionale, al di fuori dalla gabbia paterna. Padre che – per sacro timore – tende comunque ad assecondare, ottenendo una punizione più mite rispetto al suo compagno, Vito “la sartorina”, cui da’ corpo e voce un Diego Sommaripa in forma smagliante, sia in vesti drammatiche che nei – rari ma riuscitissimi – momenti ironici della pièce.

Costumi efficaci (ma Vito – a cui Umberto chiede “maggiore sobrietà” – veste in realtà senza nessun guizzo estroso, come cambiano i gusti con le epoche…), e bellissime le scelte musicali.

Manca, forse, un erotismo davvero “vissuto”, i baci sono casti e i corpi sono fin troppo “protetti” dalle luci e dalle scelte registiche: se la violenza si vede e si percepisce, il resto si può solo intuire. Un soprassalto di pudore che sottrae realismo con lo scopo, si immagina, di aggiungere tensione.

Applausi fervidissimi della platea dell’OffOffTheatre di Roma, spazio più che mai perfetto per questo genere di teatro che, come Mocciola ci ha abituato, nasconde il sociale tra le storie intime, e viceversa, in un perfetto, lucido e folle equilibrio.

Clara Molino.

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