Laura Curino

Laura Curino: dietro un’attrice, una donna

Laura Curino racconta di sé e di Annie, tra le protagoniste di “Calendar Girls”.

Sta per arrivare, al Teatro Verdi di Firenze, “Calendar Girls”, tratto dal film di Tim Firth e ispirato alla storia vera, ambientata nella fine degli anni ’90, di un gruppo di donne inglesi fra i 50 e i 60 anni, associate al Women’s Institute e impegnate in una raccolta fondi per cui arrivarono a posare nude per un calendario. Laura Curino racconta l’esperienza di “Calendar Girls”, versione italiana tradotta e adattata da Stefania Bertola.

«Trattandosi di una storia vera, di un fatto di cronaca, il fatto che sia adattato da un film in lingua inglese passa in secondo piano. Ovviamente Stefania Bertola ha dovuto porsi il problema di rendere comprensibili alcune espressioni che in italiano sarebbero incomprensibili, però ha cercato di rimanere fedele alla cifra anglosassone per rispettare il riferimento alla storia reale». Laura Curino è Annie: «Ho provato grande gioia quando ho saputo che avrei preso parte in “Calendar Girls”. Conoscevo la regista e Angela Finocchiaro a livello professionale; Stefania mi piace come scrittrice rosa moderna, in più avevo letto la biografia originale e mi aveva molto divertita». Una vicenda curiosa, reale ma che sfiora l’assurdo. Per gli attori e le attrici la finzione e la realtà si alternano più o meno pacificamente e il riso è spesso conseguenza di un profondo dramma: «Lavoriamo sia in chiave comica che in chiave tragica. La comicità, senza una tragedia di fondo, perderebbe di senso. Di base c’è un grande dolore: la mancanza fisica e profonda di un marito. Si tratta di una reazione paradossale a una sofferenza molto forte. Non dimentichiamo poi che abbiamo davanti donne semplici nel contorno di un paesino sperduto nel niente. Il trauma è talmente grande che sconvolge e ribalta tutto. Le protagoniste fanno parte di un’associazione benemerita in cui le donne imparano a sopravvivere ma anche a servire: si tratta di un’istituzione rigida. Pensiamo allora a quanto è forte il dramma per rendere tutto leggero, naturale, quando in realtà non lo sarebbe».

Laura Curino ha 61 anni e, come le donne inglesi della vicenda, posa nuda. In un’età in cui non si è più nel fiore della propria bellezza, il rapporto con la nudità e col proprio ego estetico dovrebbe farsi più complicato… «Io ho un grande vantaggio: non sono mai stata bella. Non mi sono mai affidata al mio aspetto e se a 60 anni capita proprio a me di posare nuda, significa che nella vita può succedere di tutto. Per una donna bella la vecchiaia può rappresentare una disgrazia, ma io, per fare questo lavoro, non ho mai contato sulla mia estetica. Sono una persona sana, posso fare l’artista; quel che conta è la forza e l’energia. Se si ha salute, forza ed energia, invecchiare significa avere a disposizione più mattoncini per costruire qualcosa di bello: è positivo! Non mi piace guardarmi indietro; per me conta il presente e il futuro. Poi chissà, forse anche io, prima o poi, costruirò il mio altarino dei ricordi».

Apparentemente si legge una contraddizione tra posare nude e impegnarsi per una buona causa: «Non saprei spiegare questa contraddizione. Da giovane mi facevo un sacco di problemi: da ragazzina non ti piaci mai. Non era tanto l’essere pudica, era più una sensazione generale. Adesso ho pudore nei confronti degli altri, però penso che ci sono state donne vere che lo hanno fatto senza essere pagate e che tutto dipende da come la nudità si presenta: con la mediazione dell’arte tutto cambia e le luci, la scena, le prove fanno sì che le immagini siano belle. In fondo siamo nati nudi e moriremo nudi; è la civiltà che vuole imporre un modello, ma ormai non posso e non voglio adeguarmi ad esso, quindi… che me ne importa?! Nella storia reale fu difficile fare il calendario. Il senso del gioco, l’ironia e l’irruenza delle azioni hanno dato coraggio alle protagoniste, che però si preoccupavano del giudizio. Eppure le donne del pubblico spesso ci dicono che essere come si è è meraviglioso. Essere belle vuol dire avere una storia, essere amiche, saper ridere. E posare nude a 60 anni vuol dire compiere un gesto estremo contro la morte: la sensualità è una ribellione alla morte».

Bella, non bella, giovane, non giovane, nuda, vestita, Laura Curino ha la voce di chi ha ormai una personalità ben formata, sicura di quella che è, consapevole di quello che afferma. Se la bellezza è interiore, sicuramente è bella; una donna forte e moderna che ha la propria indipendenza: «Essere casalinghe oggi è un gran guaio, soprattutto se non lo si sceglie. Certo, alcuni aspetti possono essere piacevoli e ormai anche le casalinghe trovano passatempi che le appagano, però non sono indipendenti, non hanno un posto dove essere indisturbate: lo studio del marito, la stanza dei bambini, la casalinga è la regina di una casa che non ha una stanza solo per lei. Del resto le donne che lavorano faticano il doppio e pagano cara la propria indipendenza. Essere vedove? Spero non mi capiti. Chi invecchia insieme al proprio compagno e si ama è fortunato. Chi vive un lutto può riprendersi ma è marchiato da solitudine. Nel caso di Annie, l’amicizia rappresenta un sostegno e un aiuto». Quanto somiglia Annie a Laura e viceversa? «Su Annie ho trasferito il fatto che ho sempre avuto amiche più intraprendenti di me da ragazzina: ero sempre l’amica brutta dell’amica bella, l’amica tranquilla dell’amica vulcanica. Interpretando Annie ho rivissuto quel periodo. Mi piace leggere, pensare, scrivere, l’iniziativa sociale la lascio agli altri. Non mi espongo troppo ma, se ha un senso, non ho paura né di vestirmi né di spogliarmi. Annie invece ha trasferito su di me un cambiamento fisico: ho una parrucca che mi rende irriconoscibile e questo mi piace, anche se all’uscita del teatro non mi riconoscono. La mimesi è il bello del teatro».

Tra quello che è e quello che interpreta, Laura Curino torna a riflettere su sé stessa, ormai matura e consapevole conserva in sé una parte della ragazzina pacata e un po’ insicura: «Mando sempre giù tutto finché esplodo. Ma questa è un’altra faccenda».

Firenze, 27 febbraio 2017.

Benedetta Colasanti

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