Il monologo di Tim Crouch portato in prima nazionale al Contemporanea Festival di Prato dall’Accademia degli Artefatti.
La scena è stracolma di giocattoli per bambini, paperelle e altri animali di gomma, secchielli e palette, salvagenti di varie forme, ma anche libri, ciotoline, ciabatte e un vecchio stereo; in primo piano un poster di Bruce Springsteen. Sotto questo caos una grande incerata riveste lo spazio scenico, qua e là contenitori pieni d’acqua. Una scenografia ideale per ospitare il monologo di Tim Crouch “Io Calibano” del 2003, primo della pentalogia shakespeariana del drammaturgo inglese che comprende “Io Fiordipisello” (da “Sogno di una notte di mezza estate” – 2004),”Io Banquo” (da “Macbeth” – 2005), “Io Malvolio” (da “La dodicesima notte” – 2010) e “Io Cinna” (da “Giulio Cesare” – 2012). Quest’ultimo e il testo ispirato a “La Tempesta” sono stati presentati a Contemporanea Festival_14 dall’Accademia degli Artefatti con la regia di Fabrizio Arcuri.
L’idea di Crouch è quella di riprendere le opere di Shakespeare e dare ai personaggi minori la possibilità di raccontare gli eventi dal loro personalissimo punto di vista. I lavori di Crouch perseguono il realismo estremo al punto di mandare all’aria le convenzioni teatrali e coinvolgere il pubblico nella costruzione dello spettacolo; in un’intervista del 2007, infatti, l’autore afferma che il teatro non ha bisogno di scene, costumi e accessori, ma «esiste nella testa degli spettatori». L’esperimento dell’Accademia degli Artefatti di portare in scena il Calibano di Crouch, purtroppo, appare ancora in forma laboratoriale, un lavoro sul personaggio da parte dell’attore, nulla di più. In scena Fabrizio Croci tenta un approccio eccessivo e squallido con il “buon selvaggio”, ormai rimasto solo nella sua terra. Calibano sembrerebbe aver realizzato il suo sogno di avere l’isola tutta per sé, si è liberato di Prospero e dei suoi malefici, ma è afflitto dalla solitudine. La tempesta, che aveva dato inizio alla commedia di Shakespeare, è solo un ricordo lontano. Intorno a lui la farsa di un popolo di animaletti di plastica, unici compagni con cui può fingere di litigare, giocare, parlare.
Se nelle intenzioni questo personaggio, bizzarramente moderno rispetto all’originale, è un ottimo tramite per parlare di colonialismo culturale e di ingiustizia sociale, purtroppo Croci risulta guittesco e a tratti volgare. Diversi gli stimoli interessanti, ma solo abbozzati, come il presentare Calibano abbandonato da tutti, trasandato e ridicolo, cosparso di escrementi con i quali lui stesso si “lava”: una forte denuncia verso una realtà (l’Italia a quanto pare, richiamata dall’immagine tracciata con quella stessa melma dall’attore sul pannello dello sfondo) che abbandona il diverso, che non tende la mano allo straniero e lo spinge troppo spesso a un destino disumano. Ma se quel Calibano fosse un bambino immerso tra i suoi giochi, o un attore che interpreta la sua parte davanti a un microfono, forse potrebbe esorcizzare la sua triste esistenza. Per farlo, però, avrebbe bisogno del suo pubblico (il cui coinvolgimento è solo accennato), fatto di persone e non di pupazzi.
Prato – TEATRO FABBRICONE, 1 ottobre 2014
Mariagiovanna Grifi
I, SHAKESPEARE – IO CALIBANO – Regia: Fabrizio Arcuri; Autore: Tim Crouch; Traduzione: Pieraldo Girotto; Produzione: Accademia degli Artefatti e L’Uovo Teatro Stabile di Innovazione Onlus_2013; Interprete: Fabrizio Croci.
Foto: Ilaria Costanzo.