Passano i decenni ma sempre…”I figli so’ figli”

Tra le note di regia di Liliana Cavani, al suo debutto in prosa con questa “Filumena Marturano“,  si legge:  “È un’opera di grande impegno morale e oltretutto in anticipo sui tempi e scritto senza retorica, ma con la naturalezza della vita…. di chi sono i figli, i figli nati fuori dal matrimonio? Al tempo di questa scrittura (1946), la legge non proteggeva questi “figli” considerati “illegittimi” (fuori dalla legge)… Filumena vi si ribella con la lucidità e una forza così generose da riuscire a trascinare l’ignaro borghese Domenico a capire il valore degli affetti fondamentali delle nostre vite.”
Anche alla luce di un 2016 segnato dall’approvazione delle unioni civili per gli omosessuali ma dal rifiuto della stepchild adoption, dopo una alquanto sgradevole discussione in Senato, si può affermare quanto una commedia che parla soprattutto di figli, di amore, di sacrifici di un genitore, di opinione della “gente” non sia affatto datata o superflua da portare in scena, ma riveli, anzi, non solo la suggestiva rievocazione di un testo splendido che ha girato tutto il mondo e l’altrettanto suggestivo confronto delle prove attoriali (in una Filumena, soprattutto, interpretata negli anni da attrici come Titina De Filippo, Pupella Maggio, Regina Bianchi, Lina Sastri, Valeria Moriconi,  Mariangela Melato, Isa Danieli, Sophia Loren…) ma, soprattutto, la potenza di sentimenti che sono, per loro natura, intramontabili, specialmente se sviscerati e portati alla luce così bene come nell’opera di Eduardo.
Lo spettacolo, complici anche suggestive scene e costumi di Raimonda Gaetani, è di gran pregio anche se nell’ultima mezz’ora il ritmo rallenta un po’ troppo e si avverte una vaga sensazione di ripetitività.
La regia, e il cast al completo, evitando fronzoli e puntando su un apprezzabile rigore, delineano con cura e passione ogni singolo personaggio facendo emergere il complesso del dramma con forza e naturalezza.

Ottimamente funzionali tutti i personaggi di contorno tra i quali, va detto, si distingue una Nunzia Schiano che, nei panni di Rosalia, anch’essa personaggio di battaglia di attrici come Tina Pica e Tecla Scarano, sfronda il lato comico della caratterizzazione e approfondisce quello umano e genuino di una serva indiscutibilmente devota alla padrona.

Geppy Gleijeses è un Domenico Soriano viscido quanto basta a renderci più eroica e simpatica Filumena eppure molta attenzione, in questa versione, è dedicata alla tragedia personale che ogni uomo vive di fronte all’avvicinarsi della vecchiaia. Tratti, questi, molto ben delineati dal testo di De Filippo non sempre, in altre trasposizioni, acquistano la giusta densità sulla scena, offuscati dal dramma di Filumena.

Per finire Mariangela D’Abbraccio ci regala una nuova versione della protagonista decisamente inedita sotto certi aspetti ma altrettanto convincente.
L’attrice più che con le viscere e la rabbia gioca con le parole e le mani, che sottolineano con continui e sinuosi gesti ogni frase, portando in scena un personaggio che illustra il suo dramma in ogni dettaglio e sfumatura.
Precisa e tagliente, ironica e commovente. Brava.

Roma, Teatro Quirino, 10 gennaio 2017
Giuseppe Bucci
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