Il lavoro di Emanuel Gat sulle relazioni dell’era contemporanea negli spazi di Cango.
Quando qualcuno si ferma ad osservare, da fuori, la realtà frenetica dei giorni nostri, non può non percepire il senso dell’effimero legato alle tante convinzioni di una società perennemente in corsa. Emanuel Gat con il suo “Florence” sembra aver preso proprio ispirazione da tutto ciò che va avanti “normalmente” riconoscendo però l’esistenza di un amaro rovescio della medaglia. In occasione di “Umano_Cantieri internazionali sui linguaggi del corpo e della Danza”, la riflessione del coreografo israeliano negli spazi di Cango si concentra sul forte senso di solitudine che l’uomo riesce a percepire solo nel momento in cui si ferma a guardare attentamente ciò che gli accade d’intorno.
Diretti, genuini, liberi, per certi versi anche spontanei i movimenti dei sei danzatori in scena e non a caso mai all’unisono: ciascuno di loro è parte di una collettività all’interno della quale però procede da solo. L’avanzamento solitario di ognuno, se da una parte si lega al bisogno di inseguire interessi personali, dall’altra significa isolamento e incapacità di instaurare legami stabili. Ogni gesto sembra così essere parte di una corsa contro il tempo che finisce per inseguire perennemente un obiettivo, senza mai raggiungerlo davvero. In questo moto perpetuo possono ritrovarsi le relazioni tra uomo e donna, quindi il concetto di attrazione, l’innamoramento, ma anche l’atto sessuale di cui ci si compiace in maniera autentica. Anche i particolari momenti di coinvolgimento emotivo, però, fanno parte di una consuetudine che prevede la conquista momentanea della meta e l’inevitabile affievolirsi del sentimento, quando la si è raggiunta. Il traguardo così non sembra mai stancare “l’atleta” che decide di rimettersi in gioco ogni volta seguendo le proprie regole, o meglio l’esperienza.
“Florence” nasce a seguito di un workshop tenuto a Firenze proprio in occasione di “Umano” e il risultato di questo percorso di creazione dimostra effettivamente che anche i rapporti umani hanno dei propri, insiti, meccanismi. Alcuni “funzionamenti” sembrano atti spontanei, istintivi e soprattutto non corruttibili fin tanto che non si osserva la natura di certi gesti. Gat infatti punta molta attenzione sullo sguardo dei danzatori: gli occhi si concentrano e seguono soggetti di cui analizzano gli atteggiamenti e i movimenti così si riducono a semplici accenni della testa, che al massimo possono coinvolgere anche le spalle. Il grande dinamismo dei diversi inseguimenti di obiettivo, tuttavia, contrasta in questo modo con il peso di una presa di coscienza che si compie attraverso la stasi.
Il moto e l’arresto non sono gli unici due elementi a contrasto, anzi, numerose sono le “opposizioni di genere” nel lavoro di Gat. La rappresentazione è un susseguirsi di contrari che possono presentarsi nello stesso momento oppure essere la causa-effetto di una determinata situazione; ciò che è interessante però riguarda il fatto che gli opposti non sono in lotta, ma esistono e basta. Il buio e la luce sono entrambi luogo di azione, così come sia il silenzio che la musica possono essere “d’accompagnamento” alla coreografia.
Un lavoro davvero ben fatto, d’impatto e che non può lasciare indifferenti. Emanuel Gat con “Florence” dimostra non solo di essere un bravo coreografo, ma un coreografo sincero, perché porta in scena la realtà svelando che dietro un apparente benestare, si nasconde un forte senso di malinconia e forse d’infelicità. Chissà se poi riflettere su certe questioni, non sia peggio che vivere nell’inconsapevolezza.
Firenze – CANGO, Sala Grande, 29 ottobre 2015
Laura Sciortino
FLORENCE – Ideazione e coreografia: Emanuel Gat; interpreti: Luca Cacitti, Maria Focaraccio, Paolo Pisarra, Rachele Rapisardi, Karolina Szymura, maya Tenzer, Paola Valenti.