La fantasia al potere

Oggi ho avuto il grande piacere di intervistare lo scrittore e giornalista Emiliano Reali. L’autore è da poco uscito con una nuova edizione del suo romanzo fantasy Il seme della speranza (Scatole Parlanti, 2021) con la prefazione di Alessandro Cecchi Paone. Samuel Johnson affermava: “ciò che è stato scritto senza passione, verrà letto senza piacere”! Emiliano è uno di quegli scrittori che non corre assolutamente questo rischio, vista la passione, l’impegno e la dedizione con cui compone ogni suo scritto.

Aharon Appelfeld diceva: la scrittura non è magia ma, evidentemente, può diventare la porta d’ingresso per quel mondo che sta nascosto dentro di noi. La parola scritta ha la forza di accendere la fantasia e illuminare l’interiorità. Cosa rappresenta per te la scrittura?

È una necessità, un’urgenza, la possibilità di respirare quando la vita diventa insopportabile. Se scrivo mi sento libero, le parole mi regalano delle ali per guardare dall’alto le difficoltà.

Ci sono soprattutto due tipi di scrittori: quelli che scrivono per amore di ciò che hanno da dire e quelli che scrivono per amore della scrittura. Che tipo di scrittore sei?

Io amo scrivere, ma non sempre amo quello che scrivo, a volte lo odio e lo metto su carta per cercare di liberarmene.

Come è nato il tuo romanzo Il seme della speranza?

La fantasia in me si accende portandomi lontano a dispetto degli anni. Sono cresciuto giocando di ruolo (Dungeons & Dragons). Volevo far parlare l’Emiliano bambino, cercando al contempo di veicolare messaggi di rispetto, sia verso la natura che nei riguardi del prossimo.

Nella prefazione Alessandro Cecchi Paone ha speso delle bellissime parole. Come è nata la vostra collaborazione?

L’altr’anno Alessandro mi chiese se volevo presentare “Il seme della speranza” nella rassegna organizzata dalla Società Umanitaria “Dialoghi del fantastico”. Fu davvero emozionante parlarne insieme, quindi una volta definita l’uscita della nuova edizione del libro ho pensato di chiedergli di scrivere la prefazione. Lui mi ha sorpreso accettando subito!

Come riesci a coniugare la figura di giornalista con quella dello scrittore?

Credo che essere uno scrittore mi permetta di comprendere e rispettare al meglio il lavoro delle persone che intervisto, visto che si tratta per lo più di scrittori come me. Sono due attività che mi regalano soddisfazioni differenti e che in un certo modo parlano la stessa lingua. Quando vivo una pausa editoriale mi concentro di più sulle collaborazioni giornalistiche, quando invece ho in uscita un libro mi concentro principalmente su quello. Cominciare a scrivere per delle testate ha rappresentato il modo di non perdere mai il contatto con la parola.

Il tuo rapporto con gli antieroi della letteratura.

Li adoro, sono rassicuranti, i soli con i quali mi immedesimo e che mi regalano la possibilità di farcela. La loro presenza mi conferma che non sono l’unico a mancare gli obiettivi, a stare a disagio o percepirmi fuori luogo.

Come ti sei sentito quando hai saputo che la tua raccolta di racconti Sul ciglio del dirupo sarebbe uscita in America col titolo On the edge?

Beh… è stata una grande emozione! Ma quello che davvero mi ha fatto cedere le ginocchia è stato presentarlo alla New York University, o all’Ambasciata Italiana di Washington. Ricordo che il giorno della prima presentazione in America, all’Opera House di Wilmington in Delaware, l’editore mi ha trovato nascosto in una specie di magazzino. Quando mi ha chiesto cosa ci facessi lì le ho risposto che non ce la facevo e che doveva dire che la presentazione era annullata perché non stavo bene. Per fortuna riuscì a tranquillizzarmi e uscii da lì!

Se dovessero realizzare un film tratto dal tuo romanzo Il seme della speranza, quale attori vorresti che fossero scritturati?

Se bisogna sognare meglio farlo in grande. Sono un fan della serie televisiva Teen Wolf e il suo protagonista, Tyler Posey, sarebbe un Eres perfetto. Come il protagonista del mio libro è caduto, ma ha trovato il coraggio di reagire, dimostrando col proprio esempio che ciò che apparentemente sembra perfetto è pieno di vita e per questo in divenire. Nei panni della divina Spyria invece vedrei Cate Blanchett, insuperabile in Elizabeth.

Come ti senti una volta terminati i tuoi romanzi? Provi una sensazione di vuoto?

Macché vuoto, sono felice, colmo di vita. È quando penso di inviarlo a un agente o a un editore che la sensazione cambia. Mi assale l’insicurezza, non riesco a far pace con la perfettibilità. So che è una costante imprescindibile, provo a gestirla nella vita di tutti i giorni, ma quando si tratta di scrittura mi rende assai vulnerabile.

Indicami tre romanzi che consiglieresti di leggere ai tuoi lettori?

L’apicultore di Aleppo” (Piemme), di Christy Lefteri, che partendo dal dramma siriano ci strappa dai nostri egoismi e ci sbatte contro l’incubo dell’immigrazione clandestina, inferno che troppe persone sono costrette a vivere. “La nuova terra” (Guanda), di Sebastiano Mauri, che prende in esame due temi fondamentali: la consapevolezza di sé, indispensabile per un’esistenza attiva, e di quello che i nostri gesti comportano, soprattutto in vista del disastro ecologico che stiamo causando. “Gli affamati” (Ponte alle grazie) di Mattia Insolia, che grida forte e ci spinge a non ignorare il dolore dei giovani, anche se questi tentano di camuffarlo.

Gli scrittori di romanzi insegnano al lettore a considerare il mondo come una domanda.

(Milan Kundera)

 

Valerio Molinaro

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