A Milano “Segnali” incoraggianti per un teatro rivolto ai giovanissimi

Da un quarto di secolo a questa parte, il festival Segnali è una delle più importanti vetrine italiane del teatro professionale rivolto all’infanzia e alla gioventù.

Organizzato dal Teatro del Buratto e da Elsinor, da sempre promotori dell’iniziativa, in origine rivolto alla sola Lombardia, ha assunto successivamente una dimensione nazionale, con sguardi rivolti anche oltralpe. In tal modo ha documentato nel tempo l’evolversi della poetica di quello che si suole indicare col termine “teatro ragazzi”: un delicato, complesso genere la cui specificità consiste nella necessità di coniugare la qualità dei suoi prodotti con un’istanza educativa, senza scadere nel didattico o nel vuoto moralismo; un luogo ove l’etica e l’estetica devono integrarsi e sostenersi a vicenda.

Fra i lavori più significativi proposti nella ventiseiesima edizione, tenutasi dal 6 all’8 maggio scorso a Milano e a Cormano, è da segnalarsi 1914 La tregua, dell’Associazione Culturale Anfiteatro: un efficace esempio di teatro di parola. Se, nel dal centenario del primo conflitto mondiale, non poteva mancare il tema la guerra, la drammaturgia e regia di Giuseppe Di Bello ce la restituisce in un suo aspetto poco frequentato, che mostra lo iato profondo fra gli stereotipi consegnatici dalla storia ufficiale e la percezione che, di quelle vicende ebbero gli stessi combattenti: la solidarietà che, pur in uno dei più tragici scenari bellici, le Ardenne, nel Natale del ’14 scaturisce fra le trincee opposte, inglesi e tedesche, e si diffonde a macchia d’olio lungo tutto il fronte. Nessun cedimento buonista, ma una cronaca asciutta resa con efficace sobrietà da Marco Continanza; una scenografia di grande suggestione, ma affidata sostanzialmente alle modulazioni della luce, da un rosso violento a un gelido verde, rimandata da un fondale riflettente; una partitura sonora che ha i suoi momenti più alti quando, con trasparente, straziante metafora, le note di Bach vengono soffocate dal violento, barbarico rumore delle bombe.

Anche in Greta la matta, di Osdynamicactin, si appezza una felice sintesi fra le scelte estetiche ed  espressive e la rilevanza etica del tema affrontato, che è quello del diverso. Il titolo non casualmente richiama un inquietante dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio, Dulle Griet, cui si ispira anche un fortunato testo contemporaneo illustrato dal belga Carll Cneut. Lo spettacolo (menzione speciale della giuria del premio Scenario Infanzia 2014) coniuga il teatro d’attore con quello di figura, suggerendo, più per immagini che con la parola, una riflessione non convenzionale su un argomento oggi di ineludibile rilevanza educativa.

Il delicato, tenero Out, di Untervasser, anch’esso segnalato nell’ambito del premio Scenario Infanzia 2014, dimostra ancora una volta come il teatro di figura possa spingersi ad esplorare strade diverse rispetto alle pur sempre affascinanti forme classiche del teatro delle marionette o dei burattini. Qui la parola è bandita, e il messaggio è affidato unicamente all’immagine non realistica, all’aerea poesia che scaturisce da oggetti vagamente antropici, animati a vista. La favola può leggersi come il percorso iniziatico di un bambino, ma il suo sguardo sul mondo adulto ha qualcosa dell’ingenua saggezza di Charlie Brown (cui lo apparenta anche il testone tondo del pupazzo). Si pensa al segno di Peynet, ma è evidente anche la citazione di Mondrian. Il fascino principale dello spettacolo sta nella fattura minimalista, artigianale degli oggetti, ricavati da materiali poveri; l’attenzione affettuosa al pupazzo che, proprio nella rinuncia a qualsiasi realismo, assume anima e vita. Il gruppo, costituito solo da un anno da tre giovani donne (Valeria Bianchi, Aurora Buzzetti, Giulia De Canio) ha già acquisito una sorprendente maturità artistica e inventiva, che induce ad attendere con curiosità alle prossime prove.

Il teatro di figura era presente anche nell’elegante gioco d’ombre de La famosa invasione degli orsi in Sicilia, realizzata da Idiot Savant / Ludwig a partire dalla bella favola di Buzzati. Così nei Tre porcellini di Giallo Mare Minimal Teatro è invece l’apporto della grafica digitale a integrare una rivisitazione della favola tradizionale.

Coraggiosa la scelta di Teatro Cargo che, in Compleanno afgano, mette in scena non un attore, ma il giovane Ramat Safi, testimone della tragedia dell’immigrazione, la cui autenticità riesce a dare spessore spettacolare a un messaggio di forte valore civile.

Lo stesso tema, in forma più mediata ed obliqua, è affrontato da O.Z. storia di un’emigrazione, di Eco di fondo, ove la storia del Mago di Oz diviene il viaggio iniziatico di una viziata Doroty, costretta a misurarsi con la dolorosa cronaca dei nostri giorni. Una parabola non lineare – come peraltro non lo è la storia originale di Lyman Frank Baum – ma ricca di spunti che inducono anche i giovani spettatori a riflettere sulla complessità di un fenomeno epocale, che l’analisi degli adulti riduce spesso a rozze semplificazioni.

Con poche eccezioni, anche negli altri spettacoli proposti (in tutto tredici), alla qualità estetica si associavano apprezzabili valenze formative, fra le quali, è bene ricordare, non secondaria è l’educazione al bello.

Un’edizione che ha dimostrato come, anche nel teatro ragazzi, può trovare spazio una sperimentazione di linguaggi e di forme drammaturgiche non meno vitali e innovative di quanto non se ne individuino nel teatro cosiddetto per adulti.

Claudio Facchinelli

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