“Teatro in che senso?” al Festival della Salute Mentale

A Le Murate una giornata di riflessione sul ruolo dell’attività teatrale nell’ambito della salute mentale.

convegnoPuò il teatro essere una forma di cura per la salute mentale? In che modo può intervenire sul paziente? L’esperienza teatrale all’interno di un percorso terapeutico può divenire punto di partenza per la professionalizzazione del degente? Queste le domande a cui si è tentato di rispondere durante l’incontro “Teatro in che senso?” del 2 ottobre 2014 organizzato presso il SUC Le Murate dal Festival della Salute Mentale giunto alla sua terza edizione (dal 28 settembre al 4 ottobre). Un festival nato con lo scopo di coinvolgere la comunità sul tema della salute mentale per favorire ulteriormente l’integrazione sociale tanto auspicata per i pazienti. Nonostante negli ultimi decenni siano stati proposti interventi e attività innovativi a malati mentali e famiglie, l’accoglienza nella società continua a incontrare molte difficoltà. Ecco perché il Coordinamento delle Associazioni fiorentine per la salute mentale, in collaborazione con il Dipartimento di salute mentale dell’Azienda Sanitaria 10, la Regione Toscana, le Società della Salute e il Comune di Firenze, ha dato vita a questo festival dove tra convegni e spettacoli la gente possa conoscere e confrontarsi concretamente con il disagio mentale e gli esperti possano pensare a nuovi progetti.

Con il titolo “La mente e i suoi spazi” l’edizione di quest’anno si sofferma sul concetto di spazio: «Gli spazi da abitare, gli spazi da vivere, gli spazi del tempo libero e dello sport. Ma anche l’attenzione e la cura alla gestione degli spazi di cura e degli spazi di vita quotidiani, alla loro organizzazione e alla loro estetica», e quando si parla di spazi che possono essere usati in senso riabilitativo e terapeutico il teatro assume un ruolo fondamentale. Nel Novecento esso si è incontrato con le scienze sociali rivelando la sua grande potenza terapeutica, ma – come ha sottolineato Marzia Pieri, professore associato di Discipline dello Spettacolo all’Università di Siena – è sempre stato “spazio della diversità”, un luogo di socializzazione e anche di liberazione, dove «teatralizzare i conflitti umani dietro la maschera della follia» dove ricercare «la verità tramite la menzogna», dove poter esprimere il proprio «istinto di narrare». Sandro Domenichetti, psichiatra responsabile dell’Unità Funzionale Salute Mentale adulti Asl 10 Firenze, ha aperto la mattinata ricordando che l’esperienza artistica a volte può diventare realmente un’alternativa a farmaci e psicoterapia, un’occasione in cui il paziente ritrova parte della sua “umanità”. E infatti Paola De Leonardis – psicologa direttrice della Scuola di psicodramma di Milano – ha spiegato che lo psicodramma di Jacob Levi Moreno nacque proprio dalla vita (con cui il teatro è in stretto contatto), dal bisogno di condividere un’attività con un gruppo e di entrare in dialogo con se stessi. Enrico Fumanti, teatro-terapeuta dell’associazione Fra(m)menti di Luna Verde, ha a sua volta ripetuto il valore del raccontarsi e del poter essere, nell’istantaneità della scena («momento di frattura dalla quotidianità»), né malati, né sani.

La forza catartica del teatro e la sua funzione riabilitativa è stata evidenziata in concreto da alcuni attori-pazienti, ospitati al convegno per riferire l’esperienza loro e degli altri allievi dei laboratori diretti dai sei gruppi teatrali coinvolti nel Festival della Salute Mentale e che operano da anni in situazioni di disagio mentale: ContrAttacco Teatro, l’associazione Arbus con la compagnia O come Otello, Agatà, Es Teatro e il Centro Diurno Busillis, Fra(m)menti di Luna Verde e IsoleComprese. Mentre Michele Ceri (del laboratorio di ContrAttacco Teatro) ha raccontato il senso degli spettacoli a cui ha preso parte, Settimio Cavuotti (del Centro Diurno Busillis) ha spiegato che il percorso di crescita con gli altri gli ha permesso di «coltivare la sua interiorità» così come Cristiano Brachetti (della compagnia O come Otello, la cui storia è stata narrata dall’educatrice del Centro Diurno “Franca Chellini” Cristina Cussotto), il quale si sentiva «emotivamente bloccato» ma con il laboratorio è riuscito a «riscoprire la sfera delle emozioni». A sottolineare il valore relazionale del fare teatro è stata Mariagrazia Ceccatelli (il cui intervento è stato preceduto dall’educatrice del Centro Diurno “I coriandoli” Angela Bargigli): nel gruppo teatrale ognuno si prende cura dell’altro e, proprio stando insieme,  il fattore “vergogna” (citato da Domenichetti come uno dei “mostri” da abbattere) viene smussato perché «sbaglio – dice Mariagrazia – e qualche volta ho imparato a riderci su».

Testimone del valore collettivo del teatro è Cora Herrendorf, fondatrice del Teatro Nucleo in Argentina, poi stabilitosi a Ferrara. L’attrice-regista ha portato l’esempio del progetto Teatro Comunitario, portato avanti con il marito Antonio Tassinari (scomparso a soli 55 anni lo scorso giugno): in poco tempo i gruppi aperti di teatro comunitario sono diventati dei movimenti politico-sociali volti all’aggregazione e alla trasformazione sociale. Erano gli anni Sessanta e Cora – sorridendo – ha posto la domanda «qual è la funzione dell’artista oggi?»: se possa o meno essere terapeutica, lei, teatrante, non lo sa. A rispondere al quesito, invece, è stata Ivonne Donegani, psichiatra direttore del CSM Bologna, esponendo il progetto regionale “Teatro e salute mentale” dell’Emilia Romagna di cui è coordinatrice: un’azione di ricerca molto forte che ha condotto alla realizzazione di spettacoli e attività teatrali promossi per il trattamento della sofferenza mentale. Con lei il regista Gabriele Tesauri è intervenuto parlando della sua compagnia “Arte e salute” (diretta da Nanni Garella), composta da un gruppo di attori-malati mentali che sono stati formati alla carriera teatrale e che, grazie alla professione artistica, hanno migliorato la loro qualità di vita, oltre ad aver conquistato maggiore autonomia e realizzazione personale.

La giornata di riflessione giunge a una conclusione che, con parole diverse, in molti hanno condiviso: l’esperienza teatrale riesce a scavare dentro noi stessi, è capace di riportare alla luce istante personali represse, a volte può anche “guarire” alcuni mali psicologici; è in grado, inoltre, di creare condivisione anche in situazioni dove vige l’emarginazione e l’isolamento. Il teatro “cura e fa impazzire”, il confine tra normalità e diversità – già labile di suo – tende a svanire di fronte alla potenza dell’arte.

Mariagiovanna Grifi

Share the Post:

Leggi anche