“Spoglia-toy”, parabola sul calcio
e le sue derive

 

“Spoglia-toy” é l’ultima (in ordine di tempo) follia teatrale griffata Luciano Melchionna (anche coautore con Giovanni Franci), e fin dal divertente titolo si capisce lo sguardo con cui il regista romano affronta un tema – il calcio ed i suoi riti pagani – misconosciuto come pochi. Si entra a contatto con lo spogliatoio, si annega nella retorica gridata del “mister” (il bravo Gennaro Di Colandrea), e poi – muniti di apposito ticket (vezzo risalente al premiatissimo “Dignità autonome di prostituzione”) – si segue il calciatore preferito, che ti sussurra in faccia la sua storia intima, lontano dalle orecchie dei compagni, della stampa e del pubblico dello stadio. Noi, nella data del Piccolo Eliseo a Roma, abbiamo seguito il monologo dell’ottimo Gianluca Merolli, la cui intensa e sofferta “confessione” arriva dritta al bersaglio senza bisogno di strepitare. Finchè il rito si compie in sala, dove piovono citazioni e i “calciattori”, d’oro vestiti (e di oro reale riempiti) citano catatonici massime sul calcio (“Tra le cose meno importanti, il pallone è la più importante”, Sacchi dixit), mentre – vestale ironica e demistificante – Adelaide Di Bitonto infrange il rito maschile raccontando l’evoluzione (involuzione) del mestiere. Vorticoso caleidoscopio che stupisce e stordisce, “Spoglia-toy” non lascia indifferenti. Sgomenta soprattutto chi il calcio lo ama (e dunque – da tifoso poco sportivo – non lo comprende), ma colpisce nel segno anche gli indifferenti, pregno com’è di umanissima verità. E, perché no, poesia.

Antonio Mocciola

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