“Scomodi e sconvenienti” al Teatro Lo Spazio

Doppio soffocamento

Scomodi e sconvenienti’, così recita il titolo della piéce su testo di Emiliano Metalli (Teatro Spazio 18B, Roma, 12-22.5.2022), che poi sottotitola ‘ossia fine inopportuna di una relazione sconveniente’.

Ma, scomodo e sconveniente per chi, e in che senso ?

Vedremo.

Intanto, per la cronaca, visto che sulla cronaca e la distopia della cronaca lavora il testo, esplicitiamo di che si narra. Metalli rielabora e fa vivere un famoso fatto di cronaca degli anni ’50, quando l’amante uccise a colpi di pistola un astro nascente del cinema, Ermanno Randi. Una storia che nel testo dell’autore, con abile altalena tra topic e comment, oscilla fra il racconto intervista di un amico dell’epoca (ormai ottantenne), un sarto gay (Ida), e continue immersioni flashback nel presente di allora. E Metalli è un buon artigiano del montaggio narrativo, come già ebbi a dire del suo ‘Occhio al cuore’ (Roma, 2021), rielaborazione intensa da E.A.Poe.

Dicevo, distopia della cronaca. E’ quello che tenta di farci capire l’amico narrante. La realtà è complessa. La memoria è dolore, dubbio, impotenza, tributo d’affetto, lutto. E lui ? Avrebbe potuto fare di più ?

ricordo molti dettagli, ma nessuno ha mai chiesto la mia versione […]

pensa davvero che quello che c’è stato fra Armando e Giuseppe possa

ridursi soltanto a un fatto di violenza ? Questo lo scrissero i giornali…

ma non hanno mai tenuto in conto che dietro i loro titoli ci fossero due

persone, con le loro fragilità, le debolezze, le paure”

Francesco Di Raimondo (Ida appunto) è abile e splendidamente professionale nell’alternare e modulare i toni di tutte le situazioni, con duttilità e trapassi morbidi e veloci. Amica vezzosa (forse ex amante), e cocotier nei modi, nei flash sul passato, dove tra mossette nervosismi e scatti di fonda serietà tenta di gestire per i due poveri amanti un severo senso di realtà: sopportando, sospirando, fallendo inesorabilmente. Saggio e mesto narratore quando racconta ad un invisibile intervistatore, ora aggirandosi in scena, ora accoccolato in una nicchia laterale, dove poi si dilegua dietro una tendina nera.

Senso di realtà, appunto. Perché, come segnalavo, il titolo contiene un doppio fondo. Ad un primo livello scomodità e sconvenienza hanno a che fare con lo stigma anti gay della società d’allora e, perché no, anche un po’ odierna. Armando (l’attore, qui Orazio Rotolo Schifone) trova assurdo che Giuseppe voglia convivere (anche se poi cede).

Armando – Non possiamo fare come vogliamo, non possiamo mettere

il nostro nome sulla porta di un appartamento come se fosse una cosa

normale… Noi non siamo marito e moglie. Noi non siamo due persone

normali. Noi siamo due uomini [… ] No. Non mi sbaglio. Le persone

come noi non possono vivere una vita normale. Siamo invertiti, dio mio.

Un conto è fare certe cose insieme. Un altro è mettere su una casa. Ma

cosa gli racconto a mia madre? E tu a tuo fratello? A tua sorella? Se

vengono qui a trovarti, a trovarmi… come ci comportiamo? Organizziamo

il Natale tutti insieme ? […] Giuseppe – Due persone che si amano?

Armando – Ma che c’entra adesso l’amore ?”

Ma è questa condizione di parziale prigionia a far precipitare al dramma ? Certo che no ! Il senso di realtà mancante – e che spinge al dramma – ha a che fare con la dinamica dei sentimenti.

Giuseppe è iperdipendente da Armando. Si vive un amore psicotico e nullificante, e Armando oscilla tra l’accomodarvisi pigramente e narcisisticamente – manipolandolo – e lo scalpitare insofferente di chi vede la vittima diventare un isterico e soffocante pitone, quasi uno stalker (e in questo il giovanissimo Matteo Santorum è bravissimo, e giustamente iperscatenato emotivamente, fino all’isteria).

La loro non è la ‘folie à deux’ dei meravigliosi amanti, ma un incastro nevrotico tra disturbi di personalità.

Giuseppe ha subito voluto, in modo incandescente, persino subdolo, come si evince da queste belle parole, le più poetiche del testo dell’autore, dove lui ricorda quando lo vide battere sul lungotevere:

Giuseppe – Camminavo lungo il Tevere, con l’Angelo che mi osservava

dall’alto e io che non avevo altro che un pensiero, un solo pensiero…

l’eccitazione fra le gambe che impediva anche un sorriso… Allora volevo

solo trovare qualcuno, appartarmi… come una bestia inquieta… mi

avvicinavo alle ombre, provavo a dare un colore a quelle sagome nere […]

Avrei voluto estrarlo dall’ombra persino lì sul fiume… Non si era accorto di

me. Era scappato via”

Lo conquista, ma in realtà ne è subito sfruttato. Lui, sempre fallimentare nei suoi tentativi di attività lavorative diventa lo specchio adorante dell’altro, il frustrato. E Armando manca totalmente di empatia. Quando Giuseppe se ne va in Argentina per rifarsi una vita, lo fa tornare, ma poi lo maltratta e sminuisce.

Certo, l’amore non è proprietario, e la possessività di Giuseppe, oltre che risarcitoria è a sua volta violenza ingiustificata.

Sono due reciproci carnefici, e questo non è un testo sulla condizione gay, o su un delitto, ma il fatto di cronaca distopicamente viene indagato e rivoltato nei suoi ipotetici risvolti d’anima, per denunciare quel meccanismo malato che per ora agli onori dell’indignazione pubblica si manifesta soprattutto come ‘femminicidio’.

Quindi sì – libero amore gay – ma prima di tutto libertà di amare o non amare, se i nostri meccanismi interiori non ci tradissero e coartassero.

Ma che malinconia, fuor di diagnosi Un testo difficile, da calibrare

IDA – La malinconia, la paura… che parlavano per lui… ma la violenza no!

Povero Giuseppe, povero Armando… sono stati entrambi vittime di una

incomprensione! Se avessero ascoltato di più! Se anche io avessi ascoltato

di più… (inizia a commuoversi) – Giuseppe: Lo ammazzo / Ida: Questo è un

gioco sconveniente. Si tratta di una persona. Se lui non volesse più stare

con te ? Non possiamo fare sempre quello che vogliamo”

Un testo difficile, da calibrare, una sfida registica e attoriale, e Schifone, alla sua prima regia, se la cava, doppiando anche le difficoltà di uno spazio scenico iper angusto. Così sfrutta bene la nicchia di destra, per le scomparse del narratore, e i due specchi laterali, su uno dei quali farà abbattere il volto di Giuseppe piangente.

Lui fatica a recitare anche, non potendosi dirigere, e resta talora un po’ accademico nelle emozioni (anche se il carattere di Armando lo giustifica in parte), ma certo dirige bene gli altri due.

E soprattutto gestisce bene il climax tragico finale, usando il parallelo a specchio dell’inscena/fuoriscena. Infatti, mentre fuori scena si sentono la lite finale e lo sparo, inscena, a specchio emotivo Ida melanconicamente si prova il vestito femminile allo specchio, poi lo posa a terra come un fiore, e vi entra. Melanconia poetica dell’impotenza.

A questo punto – certo anche perché registrato gli può essere stato più facile farsi auto-regia – comincia un microfonato del monologo del moriente, di grande impatto .. Poi dal fondo scena emerge lui, silente, in piedi, per una muta morte in scena. Intenso qui, sì.

Marco Buzzi Maresca

 

Scheda tecnica

Scomodi e sconvenienti’, di Emiliano Metalli

Con – Francesco di Raimondo (Ida), Matteo Santorum (Giuseppe)

Orazio R.Schifone (Armando)

Regia – Orazio Rotolo Schifone

Aiuto regia – Rebecca Righetti

Costumi – Simone Natali

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