Maximilian Nisi, sulle ali di un sogno chiamato Teatro

Quello che colpisce dell’attore Maximilian Nisi è sicuramente il grande impegno che profonde nel suo lavoro. Spaziando dal cinema alla televisione, è nel teatro, suo primo e grande amore, che trova l’espressione più vicina alla sua sensibilità: formatosi con quelli che, per il teatro italiano, sono stati gli ultimi veri maestri del XX secolo Giorgio Strehler, Luca Ronconi e Franco Quadri, è stato in scena interprete dei grandi autori classici, quali Shakespeare, Ibsen, Goldoni, Tirso de Molina, Sofocle, Moliere, Pirandello, Pinter, Dostoevskij, Goethe, ma anche di testi non consueti, o di commedie appartenenti al repertorio cosiddetto leggero,  quali “USCIRÒ DALLA TUA VITA IN TAXI” e “FIORE DI CACTUS”, nel quale, in questi giorni, debutterà nel ruolo che al cinema fu di Walter Matthau, nel festival teatrale di Borgio Verezzi, di cui è assiduo ospite, quest’anno alla sua cinquantesima edizione.

 

Maximilian Nisi (foto di Ilaria Borghi)
Maximilian Nisi
(foto di Ilaria Borghi)

–  Perché hai deciso di intraprendere la strada del teatro?

Ho voluto affidare la mia vita ad un sogno, ad un lavoro impegnativo, non sempre generoso, che considero ancora oggi tutt’altro che vacuo. Con il passare del tempo questo lavoro è stato accantonato, deteriorato, mortificato ma io continuo a credere che il teatro sia importante perché è l’ultimo vero luogo di incontro fra persone. Un luogo privilegiato dove ancora è possibile comunicare emozioni giocando con quelle parole che costituiscono la nostra cultura. Un luogo reale, non virtuale, autentico perché nel teatro, a differenza della televisione, del cinema e del web, non esistono filtri.

– La partecipazione a fiction di successo, a differenza di quanto accade ad alcuni tuoi colleghi, non ti ha fatto perdere il contatto con il teatro. Quanto ti è costato non cedere alle lusinghe della facile popolarità?

Ho frequentato la Scuola del Piccolo Teatro di Milano diretta da Giorgio Strehler. Era una scuola solida e a volte molto dura. I miei maestri hanno lavorato con impegno per farmi diventare prima una ‘persona’ e solo in seguito un ‘artigiano del teatro’. Non mi sono mai considerato un ‘artista’ e non ho mai lavorato per ottenere riconoscimenti effimeri e privi di ragione. È vero, ho preso parte a diversi progetti televisivi, anche di lunga tenitura, con ruoli da protagonista che mi hanno dato, nella durata della messa in onda, molta popolarità. È capitato perché in quel momento il teatro aveva meno da offrirmi e così ho voluto sperimentare. Sul set lavoravo sul personaggio, sulle relazioni, sulle situazioni drammaturgiche esattamente come avrei fatto in teatro. Tener conto delle regole teatrali mi consolava e rendeva il mio lavoro televisivo molto più facile. Quindi non cedere alle lusinghe della popolarità mi è costato poco: la mia soddisfazione derivava, e ancor oggi deriva, unicamente dalla messa in pratica di quei valori che mi sono stati impressi con convinzione profonda ed infinita dedizione.

– Sicuramente hai uno personaggio, tra quelli che hai interpretato finora, al quale sei particolarmente legato. Quale e perché?

Amo vampirizzare i personaggi che interpreto, mi regalano stimoli, immagini e mille emozioni. Incontrarli, conoscerli, discutere con loro, amarli è vitale. Mi rendo conto che la curiosità che nutro nei loro confronti è quasi patologica, non posso farci nulla ma è così. Per questo non ho un personaggio, tra quelli interpretati, prediletto. Finora sono stati tutti figli e mai illegittimi.

– C’è un momento della tua vita artistica che ti emoziona particolarmente ricordare?

Era il 1995 e frequentavo al Teatro di Roma il primo Corso di Perfezionamento per Attori. Ricordo una chiacchierata con Luca Ronconi sulla scena ancora buia del ‘Peer Gynt’ poco prima della recita. Eravamo solo io e lui e quella fu l’unica volta in cui parlammo senza barriere. Fu illuminante ed immenso: alle mie domande difficili seppe dare risposte facili.

– Cosa pensi dei tagli che in questi anni sono stati fatti alla Cultura ed in particolar modo al teatro?

Il grande teatro di Prosa protesta per i tagli fatti negli ultimi tempi dal governo. I piccoli teatri non vengono neanche contemplati, vengono direttamente condannati a morte. Questa è una grande ingiustizia perché è nei teatri più piccoli, quelli ritenuti sperimentali, che spesso nascono idee nuove e nuovi linguaggi. Ho sempre pensato che lo Stato dovrebbe cessare di finanziare il teatro e nello stesso tempo detassarlo. In questo modo le compagnie sarebbero finalmente libere di agire senza lo spettro a volte assillante della burocrazia.

Il Festival di Borgio Verezzi quest’anno festeggia 50 anni di attività. Hai partecipato molte volte a questa manifestazione con spettacoli diretti da registi importanti in ruoli sempre di primissimo piano. Cosa pensi del Festival e di questo suo importante traguardo?

Il Festival di Borgio Verezzi compie 50 anni. Sono 50 anni di storia del nostro teatro. Autori, attori, registi, musicisti, scenografi, costumisti, coreografi, tecnici si sono riuniti in quella piccola e meravigliosa piazzetta per 50 anni, lì hanno creato, immaginato, giocato assieme ad un pubblico che per 50 anni è salito fin lassù per perdersi nel misterioso incanto del teatro.

In questi anni molte cose sono cambiate, il teatro non è più fiorente come lo era quando il Festival nacque, ma l’impegno culturale e la passione di chi ostinatamente l’ha fondato e di chi in seguito con sapienza ed ammirevole costanza l’ha gestito hanno contribuito a renderlo uno dei più prestigiosi e longevi Festival d’Italia.

– lo consideri prestigioso perché?

Perché è un Festival che ha dato gli esordi a registi come Cobelli, Lavia, Marcucci, Calenda, Sequi, De Bosio, Miller, Guicciardini, Bolognini, Savary, Castri, Squarzina, Proietti, Missiroli e che ha avuto interpreti di eccezione per opere antiche, classiche, moderne e qualche volta anche nuove. Insomma grande varietà e grandissima professionalità.

– Cosa ti piace di più del Festival?

Adoro il rapporto che si crea con il pubblico. Il dialogo avviene attraverso i lavori che di volta in volta rappresento. Arte e vita sono mescolate insieme. C’è grande curiosità, infinita gioia. È bello ritrovare nel tempo persone che in quella piazzetta magica ti hanno ‘battezzato’. È una festa sincera e piuttosto rara.

– Con che spettacolo e quando tornerai quest’anno al Festival?

Maximilian Nisi e Benedicta Boccoli, protagonisti di "Fiore di Cactus" (foto Ilaria Borghi)
Maximilian Nisi e Benedicta Boccoli, protagonisti di “Fiore di Cactus”
(foto Ilaria Borghi)

Debutterò in prima nazionale il 30/31 luglio p.v. con ‘Fiore di cactus” una commedia romantica degli equivoci scritta da Pierre Barillet e Jean Pierre Grédy. Una pièce semplice ma nello stesso tempo efficace, divertente, gradevole dove i dialoghi tra i personaggi sono briosi e molto ritmati .Interpreto la parte di Giuliano Foch, un dentista quarantenne dongiovanni e scapolo impenitente, che si spaccia per sposato in modo da tener lontane le sue conquiste. Sarò in scena con degli ottimi compagni di lavoro: Benedicta Boccoli, Anna Zago, Piergiorgio Piccoli, Aristide Genovese, Claudia Gafà, Matteo Zandonà e Federico Farsura. Lo spettacolo, prodotto da Theama teatro di Vicenza, sarà diretto da Piergiorgio Piccoli e musicato da Stefano De Meo.

– Un progetto insolito per te che sei un attore per lo più impegnato in testi classici. Come mai hai deciso di prender parte ad uno spettacolo brillante?

Diciamo che mi divertono le sfide. Sono curioso di vedere come andrà a finire. La commedia mi intriga molto e il ruolo pure. Inoltre non penso che il fine del teatro di intrattenimento sia unicamente quello di far ridere il pubblico. Certo, la situazione drammaturgica è divertente, le relazioni tra i personaggi a volte sono esilaranti ma ci sono anche momenti di tenerezza, di poesia. Vorrei affrontare questa pièce con tranquilla creatività affidandomi completamente alla scrittura dei suoi due abilissimi autori.

– E dopo cosa farai?

Prossima stagione a parte ‘Fiori di cactus’ riprenderò in tournée ‘Mister Green’, una commedia profonda e necessaria, scritta dall’americano Jeff Baron e tradotta da Michela Zaccaria, che parla di tolleranza e di famiglia. Dividerò la scena con Massimo De Francovich, un attore che amo moltissimo. Inoltre dopo esattamente vent’anni tornerò a lavorare con Daniela Giordano, una cara amica ed un’ attrice di grande classe, in uno spettacolo che debutterà ad ottobre al Festival Quartieri dell’ Arte di Viterbo, diretto da Alessio Pizzech, un regista eclettico che trovo molto, molto affascinante.

– Un consiglio per i tuoi colleghi teatranti?

Resistenza.

– Qual è il sogno nel cassetto dell’attore Maximilian Nisi?

Non amo tenere i miei sogni nel cassetto. I sogni devono essere liberi di volare.

Gianmarco Cesario

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