Il monologo “Effimera” è un’opera inedita scritta e diretta da Stefano Benni, poeta e brillante scrittore, giornalista e attore con la co-regia di Viviana Dominaci e interpretato dalla giovane Dacia D’Acunto.
La storia di una fata-farfalla, anche un po’ strega: una giovane ragazza dei nostri tempi che, liberata dal suo bozzolo dopo venti giorni di studio affannoso sull’umanità, piomba nella realtà di un bosco fatato con tanti frutti e fiori colorati e attrattivi, che richiama desideri effimeri ma anche una vita piena di speranze. Perché sono i desideri ad accomunare la giovane fatina alla vita di una donna del nostro tempo.
Ma la fata-farfalla deve fare esperienza di tutti i desideri in un tempo limitato di un giorno, un tempo in cui imparare a volare, a dare un senso alla sua breve vita e a ispirarci. È sola nel bosco con un manuale da cui attingere istruzioni per dispiegare finalmente le sue ali.
Una vita che dura un giorno attira a sé tutte le paure, i desideri e una smaniosa ansia di comprensione. Si celebra in un inno alla vita, un invito a godere di ogni singolo momento. Dunque è inevitabile lo scontro con un’umanità quasi sospesa e imprigionata dalle paure e dalla pigrizia causata da un tempo ingannevolmente infinito: un manuale di suggerimenti per la nostra esistenza.
L’intento dell’autore è nobile e poetico: una riflessione sulla vita e il mondo contemporaneo così effimero e proiettato all’apparire piuttosto che all’essere. Una rielaborazione sulla modernità che, ispirata a un vocabolario dell’assurdo di parole inventate, ha imprigionato il desiderio nel tempo della paura, della pigrizia e dell’istinto umano al rimandare, come se al senso della vita si preferisse il desiderio di un momento.
Sarà una farfalla a risvegliarci e ad aprirci gli occhi su quanto tempo sprechiamo inutilmente?
Nonostante la vena poetica e riflessiva del sottotesto, accompagnata da un linguaggio a tratti geniale e carico di ironia dell’autore del “nessun fiore regalerebbe mai un uomo alla sua ragazza”, lo spettacolo non è altrettanto attrattivo, non è ironico, e quando sul finire siamo posti di fronte alle riflessioni e al senso. siamo disincantati e impreparati.
È la differenza tra la scrittura e la rappresentazione, tra la letteratura e il teatro o il cinema.
Il testo così riflessivo e acuto non trova lo stesso riscontro a teatro. Quasi come se l’immaginario sia svilito dalla sua rappresentazione. I richiami alla contemporaneità – così ricchi nell’immaginario – e alcune soluzioni drammaturgiche sono avvilite da una recitazione acerba e poco credibile.
Nonostante un testo così ricercato, una scenografia molto evocativa e colorata curata da Pietro Perotti e qualche ispirato momento musicale che da un po’ di respiro e ritmo al monologo, lo spettacolo risulta noioso, superfluo e a tratti ridicolo quasi a riflettere la stessa contemporaneità così caduca e provvisoria, quasi come se l’effimero avesse coinvolto anche la regia e l’interpretazione dell’attrice al punto di doversi chiedere se avesse un senso la trasposizione al teatro di un “manuale” sull’esistenza.
Roma, teatro Argot Studio, 10 ottobre 2015
Vittorio Sacco