“Lui, il figlio”, tribunale e testimoni
In nome del Crocifisso

Sette autori per otto attori, in nome di “Lui – il figlio”. E’ questo il nuovo progetto di Mario Gelardi, che si è meritato il bollino di eretico dalla Chiesa di Santi Filippo e Giacomo dell’Arte della Seta, traslocando forzatamente da San Gregorio Armeno nelle accoglienti mura del Nuovo Teatro Sanità, dove in effetti ha trovato giustissima collocazione. Cosa abbia terrorizzato gli zelanti organizzatori di Respiriamo Arte non è dato sapere, certo meno di quello che continuamente accade in molte parrocchie italiane, dal Vaticano in giù. Ma, se è vero – come ammoniva il buon Oscar Wilde – che “se scrivi qualcosa che non offende nessuno, non hai scritto niente”, la scomunica di Gelardi e dei suoi autori è medaglia al merito, e intanto lo spettacolo fila liscio e coerente, malgrado le diversissime penne schierate per l’occasione. Da Cristian Izzo per l’energico Riccardo Ciccarelli ad Emanuele Tirelli per il sempre intenso Carlo Caracciolo, da Sara Bilotti per la puntuale Irene Grasso fino ad Eduardo Savarese, che gioca sui suoi territori regalando un bel brano al bravo Gennaro Maresca. E ancora Antonio Menna per la spigliata Roberta De Pasquale, Antonella Ossorio per la rivelazione Carlo Geltrude (sempre più da seguire) e lo stesso Mario Gelardi per una convincente Anna De Stefano e – vera chicca della serata – per un pirotecnico Sasi Nicolella. Sfilano, attorno a un cerchio di lumini, testimonianze su Lui, Cristo, dal momento della crocifissione in poi. Da Giuda a Lazzaro, passando per Giuseppe e Maria, senza bisogno di costumi d’epoca, e spingendo sul dialettale, Mario Gelardi prende le mosse da Gibran per elaborare una sua scrittura originale, e soprattutto riesce ad assemblare, senza appiattirlo, un linguaggio teatrale che a volte persino capovolge l’atmosfera dello spettacolo, con grande giovamento del ritmo (merito della sua sempre precisissima regia) e della resa dei testi. Il cast funziona benissimo, senza strafare né risparmiarsi. Resta solo da capire cosa abbiano avuto di meglio da fare dalle parti di San Gregorio Armeno. Forse si stavano attrezzando per entrare nel XXI secolo. E avrebbero comunque una quindicina d’anni di ritardo.
Antonio Mocciola

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