“Le mille e una notte”: storia di una plurisecolare violenza di genere

Il Teatro del Carretto parte dal grande classico arabo per riflettere e sensibilizzare sul tema del femminicidio.

“Le mille e una notte”. Un titolo che evoca paesaggi esotici, sensuali principesse, fortunati e coraggiosi eroi, incredibili avventure che fanno sognare adulti e bambini. In pochi si fermano a riflettere sulla cornice di quelle fiabe: il re Shahriyār, deluso e infuriato per il tradimento della moglie, concepisce un odio mortale per l’intero genere femminile. Come vendetta decide di sposare, ogni notte, una vergine, puntualmente giustiziata la mattina successiva. La strage continua per tre anni finché la figlia del vizir, Shahrazād, escogita un piano: placare il re intrattenendolo, ogni notte, con un nuovo racconto. Una storia di violenza, dunque, un uxoricidio ripetuto e perpetuato nel tempo, è quello che dà il via alla celebre raccolta di novelle arabe. A ricordarlo, per fortuna, c’è “Le mille e una notte” del Teatro del Carretto, andato in scena al Cantiere Florida di Firenze dopo la prima nazionale al Teatro del Giglio di Lucca.

Un atto unico densissimo, che parte proprio da quella cornice così drammatica di un capolavoro troppo spesso frainteso. Nella drammaturgia di Maria Grazia Cipriani, autrice e regista dello spettacolo, Shahrazād (Elsa Bossi) diventa una donna di tutti i tempi e fuori dal tempo. È la vittima di ogni violenza passata, presente e futura. Ma è una vittima che non vuole subire, che denuncia con forza, una donna che urla tutta la propria sofferenza, resa forte da millenari soprusi. Grazie alla sua saggezza e al dono della parola, e quindi del pensiero, Shahrazād racconta, notte dopo notte, non di mondi incantati, ma di violenze subite, di prevaricazioni fisiche e mentali. Storie che affondano le proprie radici negli abissi del mito: Pasifae e il Toro, Arianna e Teseo, Eco e Narciso. Grazie alla seduzione della parola si dipana davanti ai nostri occhi un universo onirico e visionario che trae citazioni dalla letteratura, dal teatro, dalla storia. Sino all’oggi, con la vendita al miglior offerente di preziosi cimeli: vestiti da sposa insanguinati, appartenuti a donne e bambine vittime di stupri e omicidi di guerra.

La parola in scena si trasforma poi in immagini intensamente fisiche, anche grazie a un eccellente Giacomo Vezzani. E vale la pena di citare almeno una delle scene che lo vede protagonista, quella del Minotauro, in cui si sprigiona un’incredibile energia evocativa. Non da meno Nicolò Belliti, un re di Persia che simboleggia la violenza primordiale. Se Shahrazād è il simbolo di ogni vittima, lui è quello di ogni carnefice. E, significativamente, è privo del dono della parola, è incapace di esprimersi se non attraverso il dominio del corpo. Un uomo-bestia, le cui azioni incarnano un archetipo di violenza pulsante. Solo Shahrazād, con la forza dell’intelligenza, può salvarlo dalla sua brutalità e riconciliarlo con l’universo femminile. Come già nell’originale arabo, la principessa è un esempio da seguire, una donna artefice della propria salvezza e di quella delle altre donne.

Dunque un barlume di speranza c’è: «Non esiste notte tanto lunga da non permettere il sorgere del sole», come recita una frase dello spettacolo. Eppure, tornando a casa, ciò che portiamo con noi sono quei carillon che delimitano il palcoscenico, sormontati non da diafane ballerine in tutù rosa, ma da cadaveri di spose. Un monito di fronte al quale non possiamo chiudere gli occhi.

Firenze – TEATRO CANTIERE FLORIDA, 8 novembre 2014

Lorena Vallieri

LE MILLE E UNA NOTTE Compagnia: Teatro del Carretto. Drammaturgia e regia: Maria Grazia Cipriani; scene e costumi: Graziano Gregori; foto: Guido Mencari.

Interpreti: Elsa Bossi, Giacomo Vezzani, Nicolò Belliti.

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