“LA FONDAZIONE” delle robe. Un mucchio invisibile che emoziona.

Una grande casa vuota, pareti arancioni e un divano verde.

Un uomo seduto, a fargli compagnia un plaid.

Insicuro, remissivo, ginocchia unite, sguardo basso. Inizia a guardarsi intorno e farfuglia qualcosa, si percepisce l’accento romagnolo e una tensione emotiva che trapassa il proscenio poggiandosi lieve in platea.

Comincia il racconto. Un pó confuso, un pó svogliato, un pó pensato, ma forse si tratta già di sentire più che capire.

L’attenzione cade sul sonno, si riflette sulla verosimiglianza o meno con la morte, e questo buffo parallelismo del “paia che dorma” strappa uno dei primi sorrisi che, sarcastici e tristi, correranno lungo il monologo.

La riflessione é richiesta, l’attenzione catturata, forse anche grazie alla voluta recitazione farfugliata. Bisogna star allerta e seguir cosa accade nella testa di quest’uomo che pensa e ripensa, cerca una spiegazione a quelli che potrebbero sembrar temi troppo profondi: la morte, la reincarnazione, la necessità di esserci ancora. La necessità di esser vivi anche dopo. Vivi attraverso la conoscenza, le scoperte, il Sapere. Ah se si potesse tramandare il sapere! Metterlo in una scatola, e donarlo o anche rubarlo. Folli pensieri supportati da una mimica precisa, pulita, oggettiva, merito della cura di Binasco che, puntuale, rende reale ogni gesto, ogni oggetto pur nella totale sua assenza.

Continuiamo ad esser spettatori di ricordi e piccoli aneddoti, continuiamo a ritrovarci in ognuno di essi. L’emozione giunge forte. Riconoscersi é inevitabile e così, scorriamo il corpo dell’amata, “del miracolo che con la mano disegniamo”. Donna, moglie, compagna, la lite, la pace e il vuoto.

A chi appartiene questo vuoto? Lei non c’è più. Ha provato a colmarlo, a spiegarlo, ha cercato aiuto, ma lui non riusciva a vederlo, non riusciva a capirlo, lui con le sue robe e la sua amata. Adesso solo le robe a circondarlo.

La solitudine fa capolino, é evidente, eppur lui non la sente.

Cataste di cose ammucchiate, raccolte anni dopo anni, custodite, accudite, curate. Persino nell’orto vengono tenute, quasi fossero piante da nutrire. Ogni genere di oggetto é posseduto, sia bello o brutto, ma ognuno vivo, perché legato ad un momento, un evento, una sensazione.

Il bisogno di compagnia é così evidente da scaturir la tenerezza. Prende la forma di una giovane al suo fianco. Una ragazza che abbia unghia “non lunghe quanto quelle di una poiana”, che sia gentile, bella. Ma sa che non é possibile e allora ecco che la raccolta continua, solo le robe fanno compagnia.

Ci mostra tappi, bottiglie, ombrelli, manifesti politici. Sembra d’esser immersi fra mura piene di scatoloni e polvere e cose ammucchiate in ogni dove, eppur siamo sempre di fronte a pareti arancioni e un divano verde.

Ed ecco l’illuminazione. Come far a conservar tutto quando non ci sarà più? Ci vorrebbe una Fondazione.

Comincia a fantasticare sulla possibilità che ciò si realizzi, ne dipinge modalità, catalogazione, persone che se ne occuperanno, ma piano la realtà si affaccia crudele. Pian piano svanisce il sogno e si ritorna al sonno.

Tutto verrà portato via, districato, violentato, dismesso e lui, disteso sul divano, coperto dal plaid, ” paia che dorma”.

 

L’interpretazione di Ivano Marescotti é sublime. Non una sbavatura, non un’esitazione.

Il testo di Baldini ha una potenza drammaturgica eccezionale. É sensibile, a tratti fanciullesco per la genuinità in esso contenuta. Entra profondo nell’animo umano, in quella parte colorata di solitudine ove ognuno di noi conserva pezzetti di vita, di robe passate da cui mai vorremmo separarci.

La regia di Binasco é riconoscibile nella purezza e nell’essenzialità. Lascia spazio all’immaginazione guidando lo spettatore fra i meandri di una scena vuota ove non manca nulla.

Una nota di merito al disegno luci e alle musiche che seguono e accompagnano gesti e parole in un tutt’uno fatto di sensibilità.

Si torna a casa pieni di robe nell’animo. Un insieme di sensazioni riconosciute, sentite, provate. Il desiderio e la consapevolezza che l’umana condizione non ci basta.Tanto di inesplorato in ognuno, tanto di dimenticato, tanto ancora da sentire.

Roma, teatro Vittoria, 18 gennaio 2015

Elena Grimaldi

LA FONDAZIONE

di Raffaello Baldini
con Ivano Marescotti
regia di Valerio Binasco
scene Carlo De Marino
musiche Arturo Annecchino
luci Vincenzo Bonaffini
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione

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