Il Giovane Criminale, Genet/Sasà: un’operazione di “verità” tra biografia e mito letterario.

A metà strada tra confessione e monito, Salvatore Sasà Striano, attingendo con misura ed equilibrio alla sua stessa biografia, rievoca il mito del ladro/poeta Jean Genet e del suo scritto “L’enfant criminel” del 1948.
Infatti, proprio come nel Giovane Criminale di Genet, portando sulla scena memorie della propria adolescenza trascorsa nel crimine e nell’illegalità, Striano intende restituire al pubblico la voce del criminale e non il suo lamento, provocando nello spettatore un processo di rielaborazione dell’esistenza marginale e dolorosa di chi, anche suo malgrado, si lascia trasportare nel gorgo di un’esistenza delinquenziale.

L’operazione di Striano è, dunque, soprattutto un’operazione di “verità”, scevra di qualsiasi sovrabbondanza e di qualsiasi artificio scenico: l’attore e l’uomo coincidono perfettamente nella narrazione e l’ombra di Genet è solo un’occasione suggestiva che definisce il “fil rouge” tra il grande poeta e drammaturgo parigino e lo stesso Striano.

Lungi dalla tentazione di indugiare in una retorica glorificazione dell’esperienza delittuosa, l’attore nato e cresciuto nei Quartieri Spagnoli di Napoli, che a sette anni già vendeva sigarette di contrabbando agli angoli dei vicoli, porta in scena la propria ansia di sincerità, la propria fedeltà a una narrazione biografica carica di sofferenza e disillusione, rinunciando a qualsiasi giudizio e a qualsiasi sentenza morale. Dovrà essere il pubblico, infatti, a ricavare dal racconto di Striano una propria personale interpretazione delle tenebre in cui, ancora ragazzino, Sasà era precipitato, spinto più dalle contingenze sociali e materiali che da una sua consapevole indole delinquenziale.

Il monologo di Salvatore Sasà Striano è anche un monologo sul senso stesso del nostro destino, sull’imponderabile deriva del caso che sembra accanirsi sul futuro di alcuni giovanissimi a cui la vita concede poche alternative e poche vie di fuga. Come possiamo condannare, senza provare un sussulto di autentico strazio, chi per nascita e condizioni è stato proiettato, sin dall’adolescenza, in una dimensione di crudeltà ed esclusione? È più colpevole il giovane criminale che viene spinto dalla sorte a perseguire un destino contrario a tutte le regole o chi, a riparo della propria condizione borghese, esprime facili giudizi e stigmatizza l’errore senza conoscerne le scaturigini?

Ecco, il monologo di Salvatore Sasà Striano, in maniera asciutta e netta, suggerisce agli spettatori di guardare in faccia, senza paura, i propri pregiudizi, di frequentare, sia pure per la sola durata della messinscena, quel groviglio di verità, emozioni e sentimenti che non riescono a confessare neppure a se stessi, di liberarsi, una volta e per tutte, dell’ipocrisia e della viltà con cui, i benpensanti, continuano subdolamente a distruggere ogni altrui possibilità di salvezza. Una salvezza che riguarda tutte e tutti e non solo chi, inciampando in una sorte infausta, è rovinato nell’abisso dell’errore e del rimorso.

Replica del 12 gennaio 2019, Off/Off Theatre, Roma

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