Fugace trasferta italiana di Čulpan Chamatova

Con Lezioni di musica l’attrice russa affascina il pubblico di Milano e Roma proponendo, in lingua originale, testi di Marina Cvetaeva e Bella Achmadulina

La lingua russa ha un suono particolare, che può affascinare anche chi non la conosce.

È vero che il 25 ottobre scorso, nel foyer del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, si sentiva parlare quasi soltanto russo. Ma non appena, sola su un palco smisuratamente ampio, Čulpan Chamatova ha cominciato a offrirci nella sua lingua le parole di Marina Cvetaeva, il pubblico, non solo russofono, che occupava gli oltre millecinquecento posti della sala, ne è stato immediatamente catturato.

Čulpan, tartara di origine, ma dal viso che sembra uscito dal pennello di Antonello da Messina, poco più di quarant’anni, è oggi considerata tra le più importanti attrici russe della sua generazione. Con Lezioni di musica ha voluto collegare in un unico evento due protagoniste della letteratura russa del XX secolo: Marina Cvetaeva e Bella Achmadulina.

La prima, nata alla fine dell’800 da una famiglia di intellettuali ed artisti, ha avuto una vita tragicamente segnata dalle feroci purghe staliniane, che l’hanno amputata dei suoi affetti familiari e ne hanno spezzato la fibra, fino a condurla al suicidio, non ancora cinquantenne, durante gli anni della “Grande guerra patriottica” (come i russi amano chiamare la seconda guerra mondiale). La seconda, di origine tartara (come Čulpan) ma con remote ascendenze italiane, nasce pochi anni prima della morte di Marina, e in un certo senso ne raccoglie idealmente il testimone. I tempi sono ancora difficili, e Bella si batte con coraggio per la libertà dell’arte e degli artisti; attraversa la stagione dei samisdat (la diffusione clandestina di testi non graditi al regime), e quella del disgelo; ma la sua vita non è stata così terribilmente infelice come quella di Marina. Verrà anche in Italia, alla fine degli anni Novanta, ove leggerà in pubblico, nella sua lingua, le proprie poesie.

Lezioni di musica non è la semplice proposta di scritti delle due grandi donne. Il primo brano è il racconto Mat’ i muzyka (Mia madre e la musica), una sorta di flusso di coscienza di evidente ispirazione autobiografica, ove la Cvetaeva racconta della sua infanzia, del complesso rapporto che la lega alla madre, che vuol fare di lei, bambina recalcitrante, una futura, grande pianista. È prosa descrittiva, ma punteggiata di immagini di grande fantasia poetica: le note sul pentagramma che le sembrano uccellini appollaiati sui rami; la chiave di violino che le suggerisce la figura di un cigno; l’ombra della morte, evocata dal metronomo con il suo inesorabile ticchettio, e la forma che appare simile a una bara.

Čulpan, avvolta in un soprabito grigio dal taglio severo, i capelli a caschetto (un taglio che non casualmente ricorda quello delle foto giovanili di Marina e di Bella), da una posizione decentrata del palco restituisce con un porgere apparentemente neutro le parole di Marina, col contrappunto musicale del pianoforte di Polina Kondratkova sistemato su lato opposto, e poi dal sassofono di Veronika Kožuсharova. Ritta, le braccia lungo i fianchi, mantiene una immobilità ostinata, quasi inquietante, che assume però, dopo qualche tempo, la valenza di coinvolgente, penetrante cifra espressiva; finché, dopo oltre quaranta minuti, la sua immagine statuaria viene ingoiata dal buio.

La seconda parte inizia con Uroki muzyki (Lezioni di musica): un affettuoso omaggio che Bella Achmadulina tributa a Marina Cvetaeva, riprendendo in forma di poesia i temi del racconto che abbiamo appena ascoltato. Segue Skazka o dožde (La fiaba della pioggia), un poemetto in tredici stanze che Čulpan porge con una più libera e articolata gestualità, dopo essersi sfilata il severo soprabito grigio, e averlo lasciato cadere sull’assito, offrendosi al pubblico in un fascinoso abito verde marezzato. La composizione è in quartine di endecasillabi, connotata da un umorismo surreale, tipicamente russo, alla Gogol’.

 Qui il sassofono trova maggiore spazio, e la fulva Veronika, in completo e calzoni neri, avanza quasi danzando col suo strumento, fino ai margini del palco.

Lo spettacolo – perché di spettacolo si tratta, non di una lettura interpretativa – era nato qualche anno fa, in origine col titolo Čas, kogda v duši idëš’ – kak v ruki (L’ora, in cui penetri le anime – come le avessi fra le braccia: l’ultimo verso di una poesia di Marina Cvetaeva), ed era stato presentato con successo in tutta la Russia, ha avuto due repliche nel nostro Paese: a Milano, al Conservatorio e, due giorni dopo, al Teatro Italia di Roma.

Un evento il cui interesse consiste anche nel fatto che da noi, fuori dalla triade Dostoevskij/ Tolstoj/Čechov, non molto si sa della letteratura russa. Persino del più importante di tutti, Puškin, chi mai ha letto qualcosa? E non parliamo della poesia, neppure quella del Novecento. Lezioni di musica, anche a chi non conosceva la lingua (ma si poteva leggere un’accurata traduzione del testo, proiettata in contemporanea), ha fatto venir voglia, a chi c’era, di esplorare quel mondo.

Non solo, ma Čulpan ci ha mostrato una modalità, forse ardita ma affascinante, di proporre in forma spettacolare testi non teatrali: una lezione su cui riflettere.

Claudio Facchinelli

Lezioni di musica

Testi di Marina Cvetaeva e Bella Achmadulina scelti e detti da Čulpan Chamatova; al pianoforte, Polina Kondratkova; al sassofono, Veronika Kožuсharova.

Visto a Milano al Conservatorio Giuseppe Verdi il 25 ottobre 2019

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