Florinda Bolkan, la diva dell’altrove

 

Quello che vorrei davvero fare, in questo momento, è correre verso il maneggio qui di fronte, salire su un cavallo a caso e andare, andare, andare senza meta“. Florinda Bolkan lascia correre lo sguardo verso il verde scuro della tenuta dove, in un livido pomeriggio di dicembre, ciondolano pacifici splendidi esemplari di pura razza equina. E’ qui, a pochi passi dal Lago di Bracciano, che si svolge ora la vita della grande attrice brasiliana, con Anna Chigi al suo fianco da 20 anni, e tanta natura attorno per pensare, ricordare, e galoppare con la mente. “Il mio borgo natale ha un nome difficile, Uruburetama, ma aveva un’esistenza semplice e selvaggia, che mi é rimasta addosso come una seconda pelle. Ero una bambina scatenata, insofferente, curiosa, selvatica. Mio padre radunava intellettuali e poeti, con uno charme magnetico incredibile. Ma il mio posto era all’aria aperta, avevo bisogno di orizzonti lontani“. Lo sguardo che ha fatto delirare generazioni di uomini e donne, il piglio androgino – e allo stesso tempo squisitamente femminino – della Bolkan rimane intatto e indifferente al passare degli anni. Anni che, del resto, non sono computati nella mente della signora: “Non so quanti anni ho, quando ho fatto quel film o quell’incontro, e neppure faccio progetti. Il tempo è il presente, e il passato forse é stato solo un sogno“. Il presente è la Voltarina, agriturismo rustico e chic che sfodera sulla parete principale un graffito della diva e propone, nei week end, succulente proposte gastronomiche che le padrone di casa curano personalmente. “Scrissi un libro di cucina, anni fa – ricorda la Bolkan – e tuttora l’arte culinaria è una mia passione. Assieme al cinema, naturalmente“. Poco teatro nella sua vita artistica, un paio di esperienze, ma notevoli, negli anni ’80. “Aldo Terlizzi e Peppino Patroni Griffi mi hanno coinvolta in due spettacoli belli e faticosi. La mia casa però è sempre stata il cinema – ammette – e a quel punto della mia carriera mi sono dedicata alla televisione“. Che poi si tratti di prodotti come “La piovra”, una vera e propria slot-machine per i produttori con esiti spacca-auditel, l’attrice, con non-chalance, non fa cenno. In lei convivono magnetismo e semplicità, divismo d’antan e rustica allegria. Un mix micidiale che ipnotizzò, all’epoca, i gusti esigenti di Luchino Visconti. “Stavo ore ed ore ad ascoltarlo – ricorda Florinda – e mi voleva sempre attorno, e disponibile. “La caduta degli dei” resta una pietra miliare della mia carriera, in un anno in cui giravo anche “Metti una sera a cena” di Patroni Griffi, “Il ladro di crimini” di Trintignant, “Gli intoccabili” di Montaldo” e “Una ragazza piuttosto complicata” di Damiani“. Così, tanto per gradire. Anno di grazia 1969, 50 anni esatti fa. Ma il meglio doveva ancora venire. Nel ’70 uscirono “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, che vinse l’Oscar come migliore film straniero e che il regista Elio Petri non andò a ritirare per motivi ideologici, e l’indimenticabile “Anonimo Veneziano” di Enrico Maria Salerno, che le valse un David di Donatello come miglior attrice protagonista, poi bissato tre anni dopo con “Cari genitori”, ancora con Salerno in cabina di regia: “In quegli anni tutto sembrava facile e possibile, si rideva tanto fuori dal set, ed era poi piuttosto straniante girare invece sequenze drammatiche e cupe come per “Anonimo Veneziano”. Difficile tenere il timone dritto”. Eppure, con la disinvolta eleganza che la contraddistingue, Florinda Bolkan vive e dichiara la propria libertà in campo sentimentale, turbando i benpensanti e diventando, forse suo malgrado, esempio e mito per chi non riusciva, all’epoca ancora più di ora, a vivere con pienezza la propria identità. “Da noi, in Brasile, tutto era molto semplice e vero. Mia sorella, che tuttora vive lì, aveva relazioni con uomini e donne ed è una donna felice e appagata. Sono sempre stata libera, insofferente alle etichette e ai ruoli imposti. E sono rimasta la ragazzaccia di allora“. Attorno all’attrice, si affannano camerieri e cuochi che indossano divise con la sua immagine, in un gioioso trambusto che non scalfisce la calma serafica che la contraddistingue, nè tantomeno la distrae dai ricordi: “Ho lavorato con registi straordinari, in contesti e in epoche irripetibili. Da Lucio Fulci a Vittorio De Sica, da Alberto Sordi a Carlo Verdone. Ma non mi sono fatta stritolare dai meccanismi del divismo, ho deciso io quando rallentare, o quando assentarmi. Sono fuggita a gambe levate quando avvertivo un’aria negativa, o non ero felice. Ho sempre inseguito il mio benessere, noi attori non dobbiamo cambiare il mondo, ma dare emozioni e, se tutte le coincidenze sono favorevoli, lasciare il segno“. Ogni tanto si affaccia, indaffarata e solerte, Anna Chigi, illustre lignaggio e modi schietti: “I film del primo periodo, che poi sono quelli più importanti, passano poco o niente in tv. Un embargo immeritato, essendo dei capolavori. Ed anche illogico“. Ha ragione. Le stanze dei bottoni sono misteri insondabili (o forse sondabilissimi, basta volerlo) che ignorano la qualità, e offendono il pubblico. “Eppure – continua Anna, già cantante di un certo successo negli anni ’90 – non sentirete mai Florinda parlare male di qualcuno. Ha una grazia intatta, una filosofia che non deriva dagli studi, ma dall’anima”. E intanto, l’attrice che ha cambiato la grammatica della donna-diva, è di nuovo persa verso i boschi della Voltarina. Lo sguardo ridente è già tornato ad inseguire la fuga dei cavalli, desiderando, oggi come allora, l’altrove. Se il segreto del fascino è la sua aliena imprendibilità, Florinda Bolkan ne è lo Zenith e allo stesso tempo il Nadir. Ci sono misteri che è bene non risolvere mai.

Antonio Mocciola

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