Intanto, il pubblico. In un frenetico sabato milanese, nella piccola ma accogliente sala Adads, si era prenotata talmente tanta gente per vedere il debutto di “Damnatio”, ultimo parto creativo di Antonio Mocciola, che gli organizzatori hanno aggiunto un’altra replica il giorno stesso, per un totale di un centinaio di persone. Non era scontato.
Numeri importanti, per un testo tutt’altro che “pop”, tra i più duri tra quelli dell’autore partenopeo, spesso presente a Milano con progetti piccoli e grandi (l’ultimo, “Ricino”, al Filodrammatici e al Litta, ma molte le escursioni, ad esempio, nelle serate private di “Portiamo il teatro a casa tua”).
In questo lavoro, legati da una corda (reale e virtuale) un prete e il suo chierichetto pagano i conti con il passato, senza sconti, senza filtri, senza – probabilmente – rimedio.
Di più non diremo sulla trama, pronosticando altre repliche, ma basti sapere che Massimo Leonardo Villucci offre una prova superlativa, nelle condizioni più disagiate possibili: nudo, e legato, per un’ora intera. La sua voce, la sua mimica, i suoi gesti – affidati alle sole gambe, ovviamente – raccontano un mondo, e si appoggiano magnificamente sulle immagini mostruose e lancinanti, ma persino poetiche, che Mocciola gli disegna addosso. Un attore sopraffino, generoso, che sfodera qui una prova di indimenticabile effetto.
Accanto a lui, al suo esordio, l’ultima scommessa di Antonio Mocciola: Samuele Valenti. A lui tocca un “quadro” difficilissimo, specialmente per un neo-attore: accogliere il pubblico in sala completamente nudo, incappucciato e con due libri da reggere a braccia tese. Prova superata molto bene, grazie anche ad un adeguatissimo phisique du role. Si spera di rivedere questo giovane siciliano in altre prove.
“Damnatio” è un pugno nello stomaco, che stordisce e in un certo senso rinfranca, quando dalla dimensione claustrofobica si passa a quella onirica, con un finale di rara suggestione e lirismo. Un lavoro potente, chirurgico, vibrante. Teatro necessario.
Alessia Coppola