“Anna Cappelli”: le conseguenze della solitudine

Straordinaria Maria Paiato nei panni della “Anna Cappelli” di Annibale Ruccello al Teatro Cantiere Florida di Firenze.

Maria-Paiato-in-ANNA-CAPPELLI-uno-studio-1-foto-Pepe-RussoWEBUna posa plastica, il viso di cera. Una marionetta, dai movimenti ingessati. Il nostro corpo parla a chi lo ascolta. Osservando la postura delle persone si potrebbero scoprire molti lati della loro personalità e anche, con uno sguardo più attento, potremmo conoscere alcune caratteristiche della loro vita. Maria Paiato compare in scena vestita con colori accesi, ma la sua immagine è cupa. Il suo corpo è rigido. Il suo sguardo appare da subito maligno e inquietante. Il personaggio che interpreta, Anna, è una donna come tante, un po’ noiosa, con una vita vuota. È una persona insignificante, il cui dentro, però, è ricco di significato. La penna abile di Annibale Ruccello, infatti, riporta alla luce molto di più di questa anima solitaria. “Anna Cappelli” va in scena al Teatro Cantiere Florida di Firenze con la regia di Pierpaolo Sepe e lascia il pubblico senza fiato alla fine delle pièce. Un pugno allo stomaco.

Maria Paiato in Anna Cappelli-foto Pepe RussoL’autore napoletano, morto giovanissimo in un incidente stradale, ha donato poche opere ai posteri nella sua breve produzione teatrale, ma ricche di vissuti. Le sue creature provengono da un mondo “sotterraneo”, quello visibile e invisibile allo stesso tempo, di coloro che vivono tra le persone comuni, ma che in un certo senso rimangono ai margini. Sono gli esclusi, sono soli, il più delle volte diventano inevitabilmente “oscuri”. Hanno dentro di sé sentimenti repressi che prima o poi esplodono in un impeto di amore furioso, o di rabbia omicida. “Anna Cappelli” è uno dei tanti monologhi scritti da Ruccello con cura di particolari e pieno di sfumature. Anna è una donna che ha sofferto, che soffre ancora. Non è capace di instaurare rapporti sani con le persone, ella stessa dimostra insofferenza verso gli altri. Le uniche relazioni possibili sembrano essere quelle utilitaristiche. Ma dietro questo atteggiamento di altezzosità e di disprezzo verso il mondo si cela un’anima bisognosa di attenzione, di affetto, di cura.

000631607-7a8055a2-af3c-49f2-9b08-0cd1427b2464Puntuale la regia di Pierpalo Sepe, avvalorata da un’interprete di successo. L’attrice si fa corpo emozionale, riporta in ogni suo movimento e, soprattutto, con la sua memorabile mimica facciale, tutta l’interiorità del personaggio. In un incastro perfetto anche la scelta dei costumi di Gianluca Falaschi, l’uso delle luci di Carmine Pierri e l’impatto del trucco a cura di Vincenzo Cucchiara, i quali contribuiscono a rendere la messinscena toccante. I comportamenti maniacali di Anna, il suo disagio e la sua ipocrisia si rivelano ridicoli e di una mesta comicità, diremmo beckettiana. E infatti la scena (di Francesco Ghisu), scarna e dai colori grigiastri, ripropone pochi oggetti, tra cui una valigia che riporta alla mente le opere dell’autore inglese. In fondo l’assurdità è tema dominante sia per la trama proposta che per il profilo della protagonista. Basta pensare all’ossessivo “mio” che la donna ripete ogni qual volta voglia sottolineare il suo attaccamento morboso alle cose, il suo bisogno di possesso; i suoi scatti di rabbia e l’atmosfera di malinconia non possono fare a meno di richiamare la storica frase di Beckett : «non c’è niente di più comico dell’infelicità».

Nonostante la tragicità di questo testo, Anna desta le risate del pubblico che ha come uno slancio smanioso di catarsi: bisogna sdrammatizzare, illudersi che nella realtà nessuno potrebbe giungere a un tale stato di disperazione. È un riso liberatorio, a volte nervoso. Perché purtroppo Anna rispecchia il genere umano più di quanto non vorremmo. Il finale grottesco è frutto di una totale perdita di controllo, eppure appare come l’unica soluzione possibile. E nonostante tutto, Ruccello ci tiene a sottolinearlo, è un estremo atto d’amore. Lascia sorpresi come di fronte alla spietatezza di Anna, la si percepisca comunque come vittima. La sua sofferenza, anche se la spinge a un atto crudele e imperdonabile, desta compassione: nonostante sia tutt’altro che vittima, si immagina che, in passato, lo sia stata. E quella ultima camminata a spirale sembra proprio chiudere il cerchio di questa sua vita intrisa di disumano dolore.

FIRENZE – Teatro Cantiere Florida, 8 marzo 2014

Mariagiovanna Grifi

ANNA CAPPELLI. UNO STUDIORegia: Pierpaolo Sepe; aiuto regia: Sandra Conti; scene: Francesco Ghisu; costumi: Gianluca Falaschi; luci: Carmine Pierri; trucco: Vincenzo Cucchiara; interprete: Maria Paiato; foto di scena: Pepe Russo; produzione: Fondazione Salerno Contemporanea.

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