“A.H.”, LA STORIA SCRITTA SUL CORPO

ah_spettacolo-640x360 Entra vestito di carta, ed esce nudo, Francesco Manetti. Così si apre e si chiude “A.H.”, il nuovo lavoro di Antonio Latella, che affida al suo preparatore fisico-espressivo un testo firmato assieme a Federico Bellini. «E se invece di mettere i baffi alla Gioconda li togliessimo a Hitler?”: così si esprime il regista stabiese, nel presentare un lavoro complesso, che spoglia il male e lo riveste di teatro, all’ombra della mimica straordinaria dell’interprete valdarnese, più che mai “dentro” il testo. Quanto Hitler ci sia dentro di noi è il quesito cui siamo chiamati a rispondere, e per farlo si passa attraverso una gimkana di citazioni e rimandi letteral-cinefili che rischiano di portare l’opera verso un intellettualismo spinto, ai confini del gelo comunicativo. Latella dilata i tempi per fare esplodere con più intensità i momenti cardine dello spettacolo, compreso un finale di sublime, escatologico, lirismo, con l’uomo in posa da crocifisso a suggerire resurrezione e (forse) salvezza. Lampo di ottimismo o semplice momento catartico? “A.H.” prende spunto dal folle fondatore del Nazional-socialismo per sparare molto più in alto (o in basso): L’Europa e le sue colpe, la religione come seme del male, la ragione politica a camuffare un odio animale. E le vite delle vittime stracciate e sminuzzate in lenti gesti nevrotici, sotto forma di carta. La stessa carta con cui Manetti si veste, e che lui stesso finisce per lacerare con disperata passione. Se senso di colpa c’è, non promette nulla di buono. Il male è sempre in agguato al prossimo vicolo, e chi crede nelle “lezioni” della storia per non cadere più in tentazione è ovviamente un illuso. Siamo tutti migliori, fino alla prossima deriva.
Antonio Mocciola

 

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