Carlo Vannini. Lo scugnizzo pronipote d’arte

Il caso Tenco, e la sua discussa morte, continuano a tenere banco. Al Nuovo Teatro Sanità “Io sono uno. Luigi Tenco, storia di un acchiappanuvole” è stata una testimonianza forte, dura, oseremmo dire alta, di come sarebbero andate le cose. Protagonisti un musicista di lungo corso come Giosi Cincotti, un attore talentuoso come Gennaro Cuomo e un performer multiforme, Carlo Vannini, che naturalmente all’epoca non era nato, ma che ha sposato la causa con commovente entusiasmo: “Abbiamo dato rilievo al Tenco meno conosciuto – racconta – in cui, eliminando il concetto di recital, abbiamo dato vita ad uno spettacolo in cui il testo teatrale e quello delle canzoni è diventato quasi un corpo unico. Ma ci è piaciuto dare voce alla penna politica, e perchè no, censurata, del cantautore piemontese, in brani come “Vita sociale”, “Cara maestra” e “Ballata della moda”, in cui si scopre anche un Tenco ironico e caustico”. Da lì un percorso appassionante, con Giosi Cincotti, maestro di pianoforte di Vannini nella vita, che è diventato sul palco un vero personaggio, e non solo un esecutore di musiche. Ma soprattutto, è il caso della morte a far discutere: “Per noi – afferma Carlo – Luigi Tenco non si è ucciso. Tra scommesse gestite da lobby massoniche ed eventuali smascheramenti del sistema, l’artista era diventato un personaggio scomodo. Ci sono almeno cinque prove che distruggono la tesi del suicidio, a cominciare dalla posizione del cadavere. La gente ha amato molto il nostro spettacolo, le cui rielaborazioni musicali non sono state semplici“. Ma questo ragazzo dell’89, che ha cominciato la sua carriera accompagnando un amico ad un provino al teatro Belini, ha tante frecce al proprio arco: “E’ stato proprio al Bellini che ho conosciuto Gennaro Cuomo, ed è stato un periodo meraviglioso. Ancora ringrazio Alvaro Piccardi e Rosa Masciopinto per i loro insegnamenti. Il teatro per me è stato importante come la musica, che ho studiato al conservatorio, diplomandomi in canto e solfeggio. Del resto il mio bisnonno materno era Fernando De Lucia, rivale di Enrico Caruso”. Il canto nelle vene, e vele spiegate verso il successo. Che arriva con spettacoli deliziosi come “Valentin Express” per la regia di Daniele Marino (“in cui, per la prima volta, ho curato le musiche”) e “C’era una volta scugnizzi” (per due mesi in scena al Sistina di Roma), ma anche con “Gli spazi bianchi”, il cortometraggio di Gennaro Cuomo finalista al Roma Film Festival. La musica in primis (“Quando è morto il mio idolo Pino Daniele mi hanno fatto le condoglianze come fossi un suo parente”) ma il teatro è sempre più presente nella vita di questo solare ragazzo di Casoria, assai attaccato alle proprie radici: “Anche quando recito in italiano, penso in napoletano. Penso sia una virtù. Guardo ad esempi come Fiorello, e del resto anche io ho lavorato tanto nei villaggi. Lui ha un istinto pazzesco, canta e recita senza essere né cantante né attore. Se un giorno avessi uno spazio tutto mio esprimerei davvero me stesso. Ma ha amato anche Arturo Cirillo in “Chi ha paura di Virginia Woolf”, aveva un personaggio straordinario. E poi anche Francis Pardellian. Ma se dovessi scommettere su qualcuno direi il nome di Gennaro Cuomo, e non solo per una questione affettiva”. Eppure, se tocca ringraziare qualcuno, lo scugnizzo di Casoria diventa subito un ragazzo d’oro: “I miei non mi hanno mai ostacolato, anzi. Devo a loro la mia pertinacia, e l’energia di cui mi nutro”. Con la benedizione del bisnonno Fernando, e tanto innato talento.
Antonio Mocciola

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