
Francesco Barreca sarà protagonista, assieme a Valeria Esposito, di uno spettacolo che farà discutere, “Chiunque tu sia, ti prego, rispondi”, per la regia di Gianluca Bosco, in scena al Teatro Serra di Napoli dal 4 al 6 gennaio. Lo abbiamo incontrato durante le prove per una breve intervista.
Una storia vera, un imam rinchiuso a Guantanamo, è alla base di questo spettacolo violento e dissacrante da Antonio Mocciola. Cosa ti ha coinvolto di questa storia?
Quello che più mi ha colpito della storia di Abul, un imam d’una piccola moschea sunnita nel popoloso quartiere di Amerya a Bagdad, è la resistenza di quest’uomo, che viene deprivato di ogni suo valore umano e religioso. Un racconto di coraggio e forza d’animo che si svolge in un periodo storico, come il nostro, in cui il fanatismo religioso si è trasformato in una minaccia crescente per la società. In questo contesto, i fedeli spesso si ritrovano ingiustamente associati e colpevolizzati senza alcun reale motivo, diventando vittime della stessa violenza che combattono.
Il fatto che certi drammi si vivano così lontano da noi (apparentemente) secondo te attenua l’emozione? La religione può ancora, nel 2023, permettersi il lusso di generare morte?
La religione dovrebbe essere uno strumento sociale per aiutarci a vivere in modo pacifico invece che sfociare in tutt’altro. Il passato ci ha insegnato quanto invece questa sia stata un mezzo per giustificare guerre e stragi violente. Non possiamo nel 2023 accettare e permetterci di ascoltare notizie come questa e proprio per questo credo nella potenza del messaggio di questo spettacolo. E’ una storia a noi lontana ma allo stesso tempo molto vicina, perché si parla di umanità che è la cosa che ci accomuna tutti a prescindere dal ceto, religione o qualsiasi altra cosa. Qualsiasi sia il motivo è sempre utile ricordarsi che siamo umani bisogna sempre lottare affinché tutti possano vivere ed essere trattati come tali.
In scena, in alcuni momenti, sei completamente nudo. Di fronte a te, la presenza e l’attenzione di tanta gente che chiede al tuo corpo, alla tua voce, di raccontare una storia, senza nessun tipo di orpello, di scena, o di effetti speciali. Cosa ti spinge ad affrontare questa sfida, in cui l’intenzione, il gesto, acquisisce una fragilità, un’emotività più viva, più cruda? Come la vivi?
Per me è una sfida personale oltre che un grande onore poter ricoprire le vesti di una storia come quella che raccontiamo. Il mestiere dell’attore è quello di creare le circostanze date affinché tu possa vivere nei panni di tante altre persone in altrettante storie. Questa non è una storia facile, e penso che la nudità in queste scene possa permettere un’ esperienza unica e profonda per gli spettatori. Tutto ciò che vivo con correlazione al testo è per me un grande lavoro che di giorno in giorno mi fa lavorare sulla mia fragilità. Questa è la prima volta per me che lavoro così a contatto con il mio essere completamente donato allo spettatore e la vivo come una grande occasione di crescita personale e umana
Nel contesto del tuo percorso artistico, come si pone questo spettacolo, così diverso dal consueto?
Durante il mio percorso artistico sono sempre stato affascinato da storie come queste. Tragedie dove l’umanità di una persona è messa alle strette e proprio in quelle occasioni si rende viva più che mai. Nello specifico per me potrebbe essere estremamente impegnativo e coinvolgente, un grande monologo che sfocia anche in un dialogo con cui sembra non entrare mai in contatto. Oltre a questo è un grande momento di esplorazione e di lavoro sul corpo. La nudità in questo testo mi mette in contatto con una situazione per me nuova ma che sono pronto ad affrontare e che sono sicuro possa portare valore al mio percorso artistico e culturale.