Un ponderoso capolavoro della letteratura occidentale diventa teatro

La coinvolgente messa in scena della compagnia I Demoni evoca con felice sintesi i temi topici della complessa e tormentata Weltanschauung di Dostoevskij.

Dostoevskij, pressato dagli impegni contrattuali degli editori, scriveva a tamburo battente, in uno stile più vicino alla lingua parlata che a quella letteraria, dettando i suoi romanzi alla segretaria, poi moglie, Anna Grigor’evna, ottima stenografa. Ciò conferisce al suo linguaggio un ritmo teatrale, che invoglia a portare sul palcoscenico la sua visione del mondo, i valori etici, la tormentata fede religiosa che innervano le sue opere.

Ma la loro complessa articolazione, la folla di personaggi che le popolano rendono necessaria, quando le si voglia mettere in scena, una sapiente riduzione drammaturgica.

Alla fine degli anni Cinquanta la Rai, con un’intelligente operazione di divulgazione culturale, portava sul piccolo schermo alcuni dei suoi romanzi più popolari. Ricordo di aver assistito, adolescente, a una pregevole edizione di Umiliati e offesi (con Enrico Maria Salerno e Anna Maria Guarnieri, in quattro puntate) e L’idiota (con Giorgio Albertazzi e Anna Proclemer, in sei puntate), rispettivamente diretti da Vittorio Cottafavi e Giacomo Vaccari.

Alberto Oliva e Mino Manni, proseguendo nell’appassionata esplorazione del mondo di Fëdor Michajlovi

(non casualmente la loro compagnia si chiama “I Demoni”), si sono mossi in una direzione diversa scegliendo, come già in passato, di estrarne dei momenti topici, senza la pretesa di restituirlo nella sua multiforme ricchezza.

Nella loro agile riduzione drammaturgica la folla dei personaggi de L’idiota, si riduce a tre, e da un’operazione così ardita sortisce tuttavia uno spettacolo compiuto nella sua coerenza narrativa e teatrale.

Ottima la resa di Rogožin, cui Manni conferisce da par suo una maschia, aggressiva – eppur fragile – imponenza. Ma ancor più impegnativi, nella loro sfuggente articolazione, sono gli altri due personaggi, interpretati da due giovani attori che si rivelano sorprendentemente aderenti ai loro ruoli.

Per Dostoevskij il principe Myškin rappresenta l’irraggiungibile sintesi di bellezza e bontà, il kalòs kai agathos della Grecia classica, e Giuseppe Attanasio riesce a incarnarlo con accenti e colori di verità, infondendogli una disarmante, indifesa, tenera saggezza, che sotto certi rispetti ci ricorda un altro principe, non meno affascinante ed enigmatico: quello uscito dalla penna di Saint-Exupéry.

Quanto alla bellissima, fatale Nastas’ja Filippovna, “uscita pura dall’inferno”, Dostoevskij la introduce con le seguenti parole:

una donna dalla bellezza fuori dal comune […] in un abito di seta nero, di foggia straordinariamente semplice ed elegante […]; gli occhi scuri, profondi, la fronte pensosa, un’espressine appassionata del viso, in qualche modo altera. Forse un po’ magra in volto, e pallida.

Una scommessa temeraria per un’attrice: eppure Emilia Scarpati Fanetti, fin dal suo apparire, inquadrata come un dipinto in una cornice, ci restituisce esattamente quell’immagine.

Non secondaria, nell’economia creativa dello spettacolo, l’essenziale, suggestiva scenografia di Francesca Ghedini, fatta di oggetti che hanno a un tempo una valenza simbolica (trasparente il richiamo alla pittura metafisica di Giorgio De Chirico) ed una funzionalità drammaturgica. Fondamentale anche la riproduzione del Cristo morto nella tomba di Hans Holbein il Giovane: una sconvolgente immagine di morte che, in un frammento di dialogo fra Myškin e Rogožin, suggerisce una cruciale riflessione sulla fede; Quel quadro!”, esclamò il principe, colpito da un’idea subitanea. “Osservando quel quadro c’è da perdere ogni fede”. “E infatti si perde», confermò Rogožin.”.

Un esempio, questo, che conferma la cura e l’intelligenza con cui si sono estratti e distillati, in poco più di un’ora di spettacolo, i topoi essenziali di un romanzo di parecchie centinaia di pagine, basilare nella letteratura dell’occidente.

Un’operazione meritoria di politica culturale, sostenuta anche con gli incontri organizzati dal teatro Out Off con esperti qualificati, che hanno introdotto alcune repliche dello spettacolo.

Claudio Facchinelli

L’idiota – Il lungo addio

Drammaturgia di Alberto Oliva e Mino Manni da L’idiota di Fëdor Dostoevskij; con Mino Manni, Giuseppe Attanasio, Emilia Scarpati Fanetti; scene di Francesca Ghedini.

Visto a Milano il 20 febbraio 2020 al teatro Out Off

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