“UberMozart”, Roberto Azzurro
E i dolori del genio bambino

Si chiama “UberMozart” l’ultima sfida di Roberto Azzurro, che allestisce all’Orto Botanico, per la rassegna “Brividi d’estate”, un inquieto ritratto del giovane compositore, che in neppure 35 anni di vita seppe lasciare traccia profondissima di sfolgorante arte. Dopo essere stato Hitler per la regia di Carlo Cerciello in un indimenticabile “Terrore e miseria del terzo reich” e aver vestito i panni iper-cool di Boniface de Castellane ed Oscar Wilde, Azzurro torna a vestire panni di uomini vissuti, e raccoglie le suggestioni dell’artista austriaco, ritagliandolo (come mai, forse, finora) sulla propria personalità. Diviso, come una partitura, in dieci movimenti, “UberMozart” si muove di fioretto e di spada, alternando momenti leggeri e brillanti a squarci improvvisi di puro dolore, in cui non è difficile ritrovare accenti privati che Azzurro dispiega con pudica, ma lacerante, onestà. Il rapporto col padre, con la malattia che avrebbe potuto (dovuto?) strapparlo alla vita ancora più prematuramente, l’invidia di Salieri, i successi infantili e gli estenuanti, acerbi, sacrifici fisici. C’è tutto, come dice il titolo, in questo spettacolo che, come spesso accade in questa tranche del percorso artistico di Azzurro, è in piena apnea, anche nei momenti di rara quiete scenica, o in quelle parche concessioni al sorriso, e persino all’erotismo. “Amedé” era soprattutto un ragazzo, e Roberto Azzurro lo adotta, quasi, con commovente adesione. Cantandogli addosso, ogni tanto, una sinistra ninna nanna. Uno sguardo, come sempre, originale e coraggioso, senza agiografiche deferenze. E, a giudicare dagli ampi consensi della sala piena, nemmeno tanto ermetico come si poteva temere. Lampi di puro genio. Amedé avrebbe apprezzato.
Antonio Mocciola

Share the Post:

Leggi anche