SulmonaCinemaFestival
Un brivido lungo 33 anni

Il SulmonaCinemaFestival dice 33, e la salute sembra ancora eccellente. La gente, se stimolata da una programmazione intelligente e coerente, risponde bene. E gli accoglienti ambienti del Soul Kitchen non hanno fatto rimpiangere la sala cinematografica cittadina, il Pacifico, da due anni persa nel limbo di progetti confusi e sporadici. Marco Maiorano, assieme al suo eccellente staff, ha imbastito una cinque-giorni di proiezioni e musica, riservando piccole e grandi perle che tradiscono una forte e vera passione per l’arte cinematografica. Nella giornata di venerdì 18, che abbiamo seguito personalmente, ci sentiamo di applaudire sinceramente al corto “Another Love”, scritto a quattro mani da Carlo Liberatore, sulmonese doc, e Victor Perez: un delizioso compendio sull’Assenza (fisica e mentale), ottimamente supportato da un’intensa performance attoriale, dal taglio internazionale. E non a caso è all’estero che il corto sta ottenendo i primi, importanti riconoscimenti, grazie a una scrittura essenziale ed emotiva, e a una smagliante fotografia curata da Matthew Cooke. Ne sentiremo parlare, così come di Liberatore, artista poliedrico e visionario. Interessante anche la proposta di Massimo Denaro, che ha portato a Sulmona il suo omaggio a Pino Zac, al secolo Giuseppe Zaccaria, siciliano ma di adozione abruzzese, avanguardista della satira politica e sociale nei tumultuosi anni ’70 e precocemente scomparso. Il docufilm di Denaro, siciliano anch’egli, restituisce benissimo l’atmosfera del tempo con immagini rare d’archivio e interviste accurate ai reduci di quel difficile e stimolante periodo. Meno riuscito, forse per qualche zoppìa di sceneggiatura, il pur lodevole “Drag King, il sogno di Julia” di Claudio Del Signore. Storia di un fenomeno poco amato dagli schermi, riguardanti le donne che si travestono da uomo per spettacolo. Julia, in arte Brutus, buca il video, ma avrebbe potuto raccontare di più, e meglio. Peccato. Acuto finale della serata il toccante lungometraggio “Non essere cattivo”, che Valerio Mastandrea ha voluto produrre e promuovere a tutti i costi, dopo la scomparsa del regista Claudio Caligari. La periferia romana, gli anni ’90, la droga e la disgregazione familiare sono raccontati con cruda poesia. Non sarebbe dispiaciuto a Pasolini, o al compianto Rosi. Più sorprendente che un film così duro, così poco italiano (o forse fin troppo) sia stato ad un passo dal rappresentare l’Italia agli Oscar. Bella chicca finale il concerto dei Dixie Hogs, eleganti e potenti nel loro genere soavemente démodé.
Parlare di un festival ridimensionato rispetto al fulgido passato é ingiusto e limitante, se le proposte sono più asciutte nel numero ma di spessore elevatissimo. Il problema risiede altrove, e riguarda i tanti festival che, all’ombra di Venezia, Roma e Torino, cercano di sopravvivere nel boicottaggio alla cultura che i governi destrorsi di questo amaro ventennio stanno scientificamente applicando. Senza tradire la propria identità, e quella del SulmonaFestival è lampante e senza equivoci, virata sul sociale e rossovestita – senza ottusi ideologismi. Certo, attorno ai soliti nomi ruota anche il solito pubblico, ed è sempre più difficile arrivare a quella catatonica massa generalista che non esce più neanche di casa (prima almeno alle feste di natale prendevano la macchina per andarsi a vedere Boldi). Ma queste sono storture della società, a cui la politica dovrebbe porre rimedio. Se la politica, ahimé, non riflettesse proprio questa stessa società, come un cane che si morde la coda. E che ormai non solo non morde, ma non abbaia neppure più.
Antonio Mocciola

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