“Stoccolma” di Antonio Mocciola
Tra sindromi e strappi generazionali

“Stoccolma” mette a confronto due uomini.

Due generazioni diverse lottano tra loro in un gioco di preda e cacciatore.

Gianluca è uno studente universitario che sta tentando di dare un esame per l’ennesima volta.

Si tratta di uno scoglio che non riesce a superare a causa di un insegnante troppo intransigente.

Il ragazzo sceglie una soluzione drastica: rapire il suo insegnante per giorni e giorni.

Il professore si ritrova nudo e legato, in un posto segreto, in balia del suo aguzzino.

Questa è l’introduzione di “Stoccolma” testo teatrale di Antonio Mocciola.

Fiero del suo secondo posto al Premio Annoni, il testo è stato messo in scena presso l’Avamposto di Napoli.

La regia è stata affidata a Maria Verde che ha gestito bene i movimenti dei due attori in scena, circondati dalle belle musiche originali di Antonio Gillo.

Uno spazio angusto, quello della cattività, è lo scenario dove i due uomini interagiscono.

Antonio De Rosa e Michele Capone sono gli unici personaggi sul palco, nei panni di studente e insegnante.

Carnefice e vittima si può dire, in un gioco delle parti che rivela ovviamente delle inaspettate sorprese nel finale.

“Stoccolma” è il luogo dove Gianluca vorrebbe andare dopo la laurea, ma richiama con evidenza anche una sindrome ben nota.

Un testo forte, scenicamente d’impatto in alcuni momenti grazie ad una regia che non risparmia nulla, né agli attori né agli spettatori.

In cinquanta minuti si affrontano numerosissimi temi, dalla segregazione alla violenza, dall’omosessualità all’incesto.

Il testo criptico lascia spazio a mille interpretazioni che regalano la necessità di riflessione su molti argomenti spesso censurati.

“Stoccolma” attende di farsi spazio nelle sale per la prossima stagione teatrale: uno spettacolo che farà parlare di sé.

Gaetano Cutri

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