Quando gli uomini sono pappagalli.

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Sintetico ed intenso laboratorio di espressività, sospeso tra diverse soluzioni performative, Mangiare e Bere. Letame e Morte, non può dirsi semplicisticamente uno spettacolo di teatro-danza per la complessità progettuale dell’esperimento e per l’esemplare lavoro di ricodificazione gestuale, mimica e verbale che muove l’intenzione artistica che sostiene l’intero lavoro.

Così, un’energica e massiccia Alessandra Fabbri, efficacemente diretta dal bravo drammaturgo e regista Davide Iodice, riempie la scena con la sua prorompente corporeità e proietta lo spettatore in un’inattesa vicenda tanto “animalesca” quanto profondamente universale, una vicenda di separazioni, addii, desideri e sogni che, condivisi tanto da un pappagallino quanto da un essere umano, ci restituiscono il senso di in un unico destino emotivo che vincola tutti gli esseri viventi, a prescindere dalla specie, dalla razza, dal genere e dalla lingua.

La messinscena, verificabilmente suggestiva ed accattivante, pur dichiarando un’ambiziosa tensione al lavoro  sull’essenzialità, risulta complessivamente un po’ troppo laboriosa e sofisticata, probabilmente più di quel che avrebbe richiesto il topic del progetto, circostanza questa che neutralizza parte delle potenzialità emotive dell’operazione, inficiandone purtroppo la complessiva gradevolezza.

Inoltre, Alessandra Fabbri, attrice eccezionale nell’uso fin troppo virtuosistico della corporeità, non trova invece una convincente chiave interpretativa allorché si tratta di dare voce al suo personaggio, per cui all’aerea ed ipnotica leggerezza del suo gesto non fa eco un controllo altrettanto apprezzabile di toni, colori e sfumature della voce.

Insomma, nonostante la forza e l’incisività dell’originale progetto drammaturgico, Mangiare e Bere. Letame e Morte non riesce a staccarsi completamente da una certa, non deprecabile, dimensione di studio, con tutto ciò che di positivo ma anche di irrisolto è possibile rinvenire all’interno di simili esperienze artistiche.

Teatro Piccolo Bellini, 9 aprile 2014                            Claudio Finelli

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