Pinocchio, ovvero delle implicazioni sociologiche e psicanalitiche di una favola

Con buona pace di coloro che, per oltre un secolo, vi hanno individuato significati reconditi, Pinocchio è principalmente una favola, certo suggestiva, intrigante nella sua ambiguità, nel suo messaggio a un tempo moralistico e strafottente.
Storicamente si inserisce in un momento storico in cui si sente il bisogno di promuovere, anche sul piano culturale quell’unità d’Italia realizzata politicamente – o almeno militarmente – da pochi lustri. Non a caso il testo è quasi coevo del ben più serioso e pretenzioso Cuore. Con Elogio di Franti, Umberto Eco aveva stracciato il povero De Amicis. Con diversa lievità, attraverso una lettura integrale e sostanzialmente filologica, Paolo Poli ci aveva restituito oralmente, di Pinocchio, una edizione spassosissima. Nessuno, a quanto ne so, ha ancora provato a demistificare Collodi: ci aveva già pensato lui, con le palesi contraddizioni della favola, con la sua beffarda autoironia toscana.
Lo spettacolo messo in scena da Antonio Latella per il Piccolo di Milano ha un suo innegabile fascino figurativo e teatrale. Gli attori si sottopongono con passione e generosità alle richieste della regia (per tutti Christian La Rosa nel ruolo dell’ipercinetico eroe eponimo, e il multiforme Massimiliano Speziani, interprete di Geppetto, oltre che di una manciata di altri personaggi). Lo sconfinato spazio del palcoscenico dello “Strehler” viene utilizzato con sapienza. Si apprezza l’efficacia e l’originalità di molte idee scenografiche, come la quasi incessante nevicata di trucioli di legno; o l’imponente, retrattile tronco d’abete, trasparente proiezione del naso rivelatore, ma anche minaccioso fallo, o cannone puntato su pubblico. Anche gli effetti sonori hanno una loro suggestività.
Ma le avventure di Pinocchio non sono il ciclo tebano, e distillarne interpretazioni sociologiche o psicanalitiche, come fa Latella, mi sembra un’operazione artificiosa, non giustificata dal fantasioso, quasi picaresco testo di Collodi.
Nelle tre ore e passa dello spettacolo si affaccia sulla scena una molteplicità di riferimenti, i cui agganci alla fabula, discutibili se non arbitrari, la travolgono e stravolgono.
C’è, peraltro, fra le pieghe della narrazione, una presenza inquietante, che emerge a tratti dalla pagina: la morte. Una tema che, pur ricorrendo ampiamente nella favolistica popolare, siamo abituati a considerare non congruo alla letteratura per l’infanzia. Si direbbe che l’irrequieto, beffardo ma, a suo modo, impegnato pedagogista Collodi abbia invece coscienza dell’opportunità di rompere questo tabù, e ci si misura, ancorché in quel suo modo contraddittorio, a volte addirittura burlesco. Un risvolto, questo, che valeva la pena di affrontare.
Ma che dire della paternità negata, del conflitto generazionale, della pedofilia, del traffico di minorenni? A sommesso parere di chi scrive, appaiono come corpi estranei, inseriti in modo pretestuoso, affrontati senza un sufficiente approfondimento, senza un’adeguata armonizzazione drammaturgica col contesto.Pinocchio
Un’ultima, dolente osservazione. Nel corso della recita cui ho assistito, cui partecipava un nutrito pubblico di adolescenti (la visione dello spettacolo, prudentemente, era consigliata a un pubblico dai quattordici anni in su), c’è stato un solo, fragoroso applauso a scena aperta, quando Pinocchio si abbandona a una serqua di moccoli rivolti alla fata, qui in aspetto di donna anziana:
“Vaffanculo! Bucaiola! Puttana maiala! Fica! Culo! Tette! Pompinara! C’hai le puppe a pera! M’avete sfracellato i coglioni tutti quanti! Questo si fa, questo non si fa! Volete un bambino perfetto? Compratevi un pupazzo! Ma che cazzo ne sapete voi! Borghesi di merda!”.
E l’invettiva proseguiva. Ora, chiunque frequenti gli adolescenti, sa benissimo che fra loro (e non fra loro soltanto) quel linguaggio è ampiamente diffuso e praticato: sono stilemi che poco hanno a che vedere con i saporosi toscanismi di Collodi, ma scandalizzarsene sarebbe ipocrita. Tuttavia, pur glissando sul fatto che la drammaturgia abbia sentito il bisogno di strizzare l’occhio al pubblico per tirare l’applauso, è desolante verificare che quello sia stato l’unico momento in cui, ex abundantia cordis, quel pubblico giovanile si sia identificato con Pinocchio.
Di “Vaffa!”, francamente, ne abbiamo già sentiti a sufficienza.

Claudio Facchinelli

Visto a allo Strehler di Milano il 2 febbraio 2017

Pinocchio, da Carlo Collodi; drammaturgia di Antonio Latella, Federico Bellini, Linda Dalisi; regia di Antonio Latella
Scene di Giuseppe Stellato; costumi di Graziella Pepe; luci di Simone De Angelis; Musiche e suono di Franco Visioli
Con: Michele Andrei, Anna Coppola, Stefano Laguni, Christian La Rosa, Fabio Pasquini, Matteo Pennese, Marta Pizzigallo, Massimiliano Speziani

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