“Pane e burlesque”, la crisi a tempo di musica
e una superba Sabrina Impacciatore

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“Pane e burlesque”: quando il titolo è già sinossi. Si può sconfiggere la crisi lanciandosi in un genere tornato di moda ma che è vecchio più di tre secoli? E magari non si ha l’età, o l’avvenenza, o il mestiere, per farlo? Si, si può. Facendo di necessità virtù. Monopoli, a sud di Bari, offre smagliante location per una commedia sulla crisi che la regista, Maniela Tempesta, dirige con mano lieve, per non dire a volte superficiale. Presto i problemi reali restano sullo sfondo, soverchiati dalle vicende tragicomiche di Giulian, alias Mimì la Petite (Sabrina Impacciatore), tornata in città (forse) dall’estero per occuparsi della fabbrica del fu padre, dichiarata fallita. Con lei, artista di burlesque, un trio di sgallettate a farle da corona artistica. Ma, quando queste se la svignano, esasperate dai capricci della diva, Mimì è costretta a reclutare sul posto tre impreparatissime conoscenti locali: la procace commessa (Giovanna Rei), la moglie frustrata (Michela Andreozzi, anche co-sceneggiatrice) e la bella orba sotto mentite spoglie (Laura Chiatti). Gli uomini s’industriano come possono o si consumano in machi rancori (Edoardo Leo), perchè sono le donne che fanno girare il mondo, e la Tempesta ha una visione estremamente precisa del tutto. I peccati del film sono: qualche caduta di ritmo, il personaggio della Chiatti troppo caratterizzato e l’aver al contrario poco utilizzato il talento di Caterina Guzzanti, presente in poche pose come sbiadita leader sindacale. I pregi sono una certa freschezza d’insieme e, soprattutto, l’ennesima prova perfetta di Sabrina Impacciatore. Un’attrice straordinaria, tra le migliori della sua generazione, che si carica sulle spalle tutto il film divertendo e commuovendo, disegnando la sua Mimì come figurina tenera e allo stesso tempo di forza luminosa. Si fa dare della nana e della bollita, ma intanto sfodera un fisico invidiabile, e un fascino obliquo che buca lo schermo. Ridete pure mentre mima il francese e l’inglese alternandolo a un perfetto pugliese. Ma osservatela quando, davanti allo specchio, ascolta per caso da un camerino affianco che la sua carriera sta finendo, oppure quando, in piena piazza, rivendica con orgoglio la sua scelta di lasciare il paese. Veri acuti di classe. Basta questo per apprezzare un film con molti difetti, ma che si àncora al cuore, e resta dentro.

Antonio Mocciola

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